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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere
Dante. Convinzioni teologiche ed escatologiche che sono del tutto
assenti, inutile dirlo, nei versi dell’Antigone, anche se fanno riferi-
mento al divino (perché nel mondo greco il divino è fortemente im-
pastato con l’umano). Ma questa diversa temperie culturale-spiritua-
le dei tre testi poetici la cogliamo attraverso quegli indizi sensibili che
sono le tre apparentemente banali “pietre tombali”. La «petra» dan-
tesca è «gentile» perché dovrà consentire a Dante di levarsi «dopo il
tempo» (= il tempo finito, caduco di questo mondo), in vista del giu-
dizio universale. Tutti aspetti che mancano, invece, sia nella tragedia
greca sia nel non credente Leopardi. In lui «non c’è più cielo» (come
ha rilevato De Sanctis). Non c’è salvezza, non avendo nulla in comu-
ne la Silvia di Leopardi con la beatrice di Dante (o, putacaso, con la
Margherita di Goethe). Dunque quella pietra è una fredda pietra e
basta; una pietra da cui l’amata Silvia non si leverà mai, al contrario
di quella dantesca.
Un altro esempio, tratto da alcuni classici moderni, riguarda la
capacità di dilatazione semantica di un termine all’interno dello stesso
testo che consideriamo “classico” generato dal suo particolare conge-
gno stilistico-formale. I riferimenti obbligati sono, qui, la già citata Cri-
tica del gusto di Galvano Della Volpe (contenente una importante teoria
della poesia come polisenso), le indicazioni linguistico-estetiche nella
“critica semantica” di Antonino Pagliaro e le considerazioni di teoria
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della letteratura formulate da Francesco Orlando nel suo Illuminismo,
45 A riprova del carattere polisemico che caratterizza, prevalentemente, un
classico, basterebbe qui citare la pluralità di sensi (sostantivale, aggettivale,
predicativo, avverbiale) che Pagliaro individua nell’uso che Omero fa di un
termine come autós in base ai diversi contesti espressivi in cui ricorre (cfr. A.
Pagliaro, Nuovi saggi di critica semantica, G. D’Anna, Messina-Firenze 1971,
pp. 10-11). Questo si spiega col fatto che la “critica semantica” proposta da
Pagliaro è intesa come analisi del rapporto fra il significante e il significato
del segno linguistico, in cui, però, «l’accento è posto soprattutto sul signifi-
cante nei diversi gradi in cui l’esprimersi si dispiega, come punto di partenza,
dato positivo di un significato il quale è, a sua volta, forma di un nuovo conosce-
re» (A. Pagliaro, Saggi di critica semantica, G. D’Anna, Messina-Firenze 1952,
p. XIV, corsivo mio).
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