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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere



                           parare, come ha fatto Croce, unità lirica e unità logica di un testo poe-
                           tico è del tutto fuorviante e improduttivo. La riprova sta nella consi-
                           derazione che sia la hybris di Antigone (che, in nome della legge reli-
                           giosa che impone di dar degna sepoltura ai morti, disobbedisce al-
                           l’editto di Creonte), sia la hybris di Creonte (che, condannando Anti-
                           gone, contravviene a quella legge non scritta, esponendosi così alla ne-
                           mesi) sono il nucleo poetico della tragedia da cui si irradiano tutti i mo-
                           menti lirici e drammatici dell’opera. E tali momenti sono tanto più li-
                           rici e drammatici quanto più espressivi di quel peculiare ethos greco.
                           Esemplari, da questo punto di vista, sono la saggezza comprensiva
                           della sorella Ismene («Per me dunque, pregando i nostri morti sotto-
                           terra di perdonarmi […], obbedirò a coloro che hanno il potere. Voler
                           fare ciò che è al di sopra delle nostre forze è un atto irragionevole» vv.
                           65 e ss.), o la logica dello strumento divino Creonte («È impossibile
                           conoscere l’anima, i sentimenti e il pensiero di alcun uomo se non lo
                           si è mai visto all’opera al potere e nell’applicazione delle leggi […] No,
                           io non sono un uomo, è essa che prende il mio posto, se questa supe-
                           riorità che ha assunto deve restare impunita» vv. 175 e ss.; 484 e ss.).
                                 Un’idea di hybris che ritroviamo formalmente rimodulata (e con-
                           tenutisticamente risignificata) in altri contesti poetico-letterari. Ad
                           esempio, risalendo ai poemi omerici, in alcuni passaggi dell’Iliade e
                           dell’Odissea. Nell’Iliade è presente sia una hybris sociale, come traco-
                           tanza di un uomo contro un suo simile (si veda il c. I, vv. 200 e ss.,
                           dove Achille, che si sta per scagliare contro Agamennone, reagisce al-
                           l’apparire di Atena, amica degli Atridi: «Che vieni tu a fare ancora, fi-
                           glia dell’egioco Zeus? Forse a vedere l’hybris di Agamennone figlio di
                           Atreo? Ebbene, ti dirò che intendo fare: per la sua arroganza perderà
                           presto la vita»), sia una forma religiosa, come empietà umana verso
                           gli dei, come si può vedere nel c. XXIV nell’episodio dell’oltraggio del
                           cadavere di Ettore da parte di Achille. Per l’Odissea, si veda il c. I, vv.
                           368 e ss. in cui Telemaco si rivolge ai proci con queste parole: «Preten-
                           denti di mia madre, che avete in cuore un’hybris sfrenata», ecc.
                                 Questo, per caso, vuol dire che oggi, venuti meno i problemi
                           socio-politici, religiosi ecc., legati ai concetti greci di hybris (o tracotan-
                           za umana, empietà ecc.), di ananke (o fato, necessità ecc.), di nemesi (o
                           punizione divina), venga meno anche la possibilità di “gustare” la
                           poesia di Sofocle? Niente affatto, perché l’esperienza estetica dell’ope-



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