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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere
In tal senso, amore del sapere, e sapere d’amore, significa che «la bel-
lezza deve salvare la verità e la verità deve salvare la bellezza. In que-
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sta duplice salvazione si compie la conoscenza» . I classici, oggi, ci in-
dirizzano ancora lungo questa direzione.
5. Exempla
Riepilogando, possiamo dire che il valore, o uno dei valori principali,
dei classici in quanto testi (scritti, visti, ascoltati) che riproducono la
dimensione possibile, non necessaria, della realtà, naturale e umana, sia
quello di generare una pluralità indeterminata di sensi, un’eccedenza
del piano simbolico-connotativo su quello segnico-denotativo, del semio-
tico sul semantico, per citare ancora benveniste; cioè: delle costruzioni
metaforiche, analogiche e indirette su quelle referenziali, denotative e
dirette. È questo continuo protrarsi e ritrarsi di contenuti veritativi at-
traverso l’elaborazione poietica delle forme sensibili ad attivare quel
piacere comprendente di cui parlava Jauss, ossia quell’habitus erotico
che è, come si è detto, una delle caratteristiche biostoriche dell’uomo.
Ma, per non rimanere nella genericità degli enunciati teorici, attra-
verso quali specifiche modalità un classico favorisce, concretamente, nel
lettore-fruitore, l’instaurarsi di quell’abito erotico? Alcuni esempi, limi-
tati all’ambito poetico-letterario, possono forse prospettarne qualcuna,
non senza ricordare che bisogna sempre tenere presente il costitutivo
legame paradossale di ogni classico: il suo carattere storico e quello nor-
mativo. Goethe e Marx si sono fatti portavoce di questa doppia istanza
quando il primo ha sostenuto che la più alta liricità è decisamente sto-
rica, per cui, se si tenta di scorporare, ad esempio, dalla poesia di Pin-
daro gli elementi storico-mitologici si recide, a un tempo, la loro sostan-
za poetica. E il secondo, nel testo che compare in epigrafe, dopo aver
premesso che l’arte greca presuppone la mitologia greca, cioè la natura
e le forme sociali già elaborate dalla fantasia popolare, conclude che la
difficoltà, per il materialista storico, non sta tanto nel capire che l’arte fi-
41 Ivi, p. 57.
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