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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere


                                 La “vicinanza” dei classici, nonostante la loro “distanza”, sta
                           proprio in questa mania erotica che essi suscitano nel soggetto erme-
                           neutico. Le opere dei classici sono ancora oggi per noi dei modelli inar-
                           rivabili, come dice Marx, non già – riprendendo un motivo centrale
                           della Querelle des Anciens et des Modernes – per le loro opere di carattere
                           scientifico, dove prevale, per dirla con benveniste, il sapere del seman-
                           tico, ma per le produzioni “umanistiche” o storico-sociali, in cui a pre-
                           valere è il sapere del semiotico. Tutto ciò che rinvia al classico o pro-
                           viene dal classico non è per noi importante in quanto perfetto, finito,
                           conchiuso ecc. Questo accade nell’ambito delle discipline del seman-
                           tico. L’attualità e il fascino delle opere dei classici stanno invece nel ca-
                           rattere non-finito, aperto, indeterminato di esse, pur nella loro com-
                           piutezza stilistico-formale e normativa. Ciò si spiega con il fatto che,
                           come ha ancora sottolineato Agamben, la cesura strutturale tra cono-
                           scenza effettiva (o dei significati) e conoscibilità (o dei significanti) non
                           è qualcosa di storicamente contingente e accidentale, ma costitutivo
                           ed essenziale, perché riguarda l’essere storico dell’uomo in quanto
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                           homo sapiens . Fra il semiotico e il semantico si riproduce sempre uno
                           scarto; una relazione asimmetrica mai simmetrizzabile, per così dire.
                           Se si risolvesse in una relazione simmetrica, verrebbe meno la tensione
                           e dunque il piacere a essa connesso.
                                 Questo ci dice il progetto greco-classico, cioè platonico, di un
                           amore del sapere e di un sapere d’amore. Ci parla di un sapere che
                           non è né sapere del significato, né sapere del significante, ma si situa
                           nella frattura che li divide e li costituisce. È questo sapere, in cui co-
                           municano “dialetticamente” verità e bellezza, che,


                              al culmine della filosofia greca, Platone aveva fissato nella figura de-
                              moniaca di Eros; ed è ancora questo sapere che, alle soglie dell’età mo-
                              derna era apparso ai poeti del Duecento come “intelletto d’amore”
                              nella figura beatificante di una Donna (beatrice) in cui, finalmente, la
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                              scienza gode e il piacere sa .





                           39  G. Agamben, op. cit., p. 54.
                           40  Ivi, p. 58.



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