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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere



                                 In generale, è la riflessione nella sua accezione ampia, includen-
                           dovi cioè anche il “pensiero” poetico e teologico delle origini, che
                           nasce, in Grecia, come amore del pensiero. Vediamo in che senso. Nel
                           mondo classico, e nei testi classici in cui quel mondo precipuamente
                           si esprime, verità e bellezza si davano insieme. Le forme delle opere
                           classiche sono belle in quanto vere. Per questo l’amore della bellezza
                           è, al tempo stesso, amore della verità, la quale, al pari della prima,
                           non si dà tutta in una volta, ma è un oggetto che costantemente si sot-
                           trae via via che si rivela. Rinvia sempre a una ulteriorità tendenzial-
                           mente inesauribile. Questo accade perché la verità cui tendono le
                           opere dei classici non è una verità epistemica, il cui oggetto, immuta-
                           bile e necessario, è rinchiudibile una volta per tutte dentro rigide ma-
                           glie categoriali, ma rinvia a una verità retorica, o meglio, phronetica, il
                           cui  oggetto  è  quello,  mobile  e  sempre  vario,  della  praxis  storico-
                           umana, ossia i problemi della vita e della morte, della felicità e del-
                           l’infelicità, del piacere e del dolore. In una parola: gli eterni problemi
                           dell’uomo. Il valore di verità delle opere d’arte che noi ammiriamo in
                           quanto classiche non sta dunque nella loro capacità di trascrivere fe-
                           delmente il dato storico-empirico nella sua immediatezza, quanto, al
                           contrario, nella loro capacità di distanziarsene, incorporando così nel-
                           l’opera,  attraverso  il  lavoro  della  poiesis,  una  più  o  meno  ampia
                           gamma di sensi possibili. È sulla base di considerazioni del genere
                           che Hegel sosteneva nelle sue Lezioni di estetica che le opere dell’arte
                           classica sono modi in cui si manifestano, in forme sensibili, significati
                           spirituali sovrasensibili. Ed è sempre su questa base che la poesia ar-
                           caica e classica greca, come ha spiegato esemplarmente Gianni Car-
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                           chia , non è confinabile in un ineffettuale spazio “estetico”-ornamen-
                           tale, che recide i legami con il fondo mitico-cultuale da cui nasce, ma,
                           cantando i fatti “memorabili” della comunità cui essa si rivolge, tende
                           a rafforzare l’integrazione simbolica e la coesione sociale dei membri
                           di quella comunità. I fatti “memorabili” cantati dai poeti hanno un
                           valore pedagogico-civile, oltre che conoscitivo, perché insegnano a
                           diventare uomini. Educano ad agire come agisce l’eroe. Ad esempio,





                           26  G. Carchia, Retorica del sublime, Laterza, Roma-bari 1990.



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