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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere


                           Ma ciò che parla a ogni presente non richiede il superamento della di-
                           stanza storica, perché è esso stesso a realizzare, ogni volta, tale supe-
                           ramento. «Ciò che è classico è dunque bensì “fuori del tempo”, ma
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                           questa sua eternità è un modo proprio dell’essere storico» .
                                 Tuttavia rimane imprecisato in cosa consistano, concretamente,
                           quella “rinnovata verifica” cui Gadamer assegna il compito di mante-
                           nere “in essere un certo vero” e quel “significato indipendente da ogni
                           situazione temporale” che caratterizzerebbe il classico. Un contributo
                           importante alla chiarificazione del problema ci è offerto da Gianni Car-
                           chia, che alla discussione del concetto di “classico” ha dedicato pagine
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                           fondamentali . Richiamandosi alle posizioni di Gadamer, egli sostiene
                           che il concetto di “classico” è intimamente aporetico: include, contem-
                           poraneamente, un’istanza normativa e un’istanza storica. Ma l’aspetto
                           storico, lungi dall’essere qualcosa di accidentale e di estraneo rispetto
                           all’immutabilità del valore normativo di un’opera, è decisivo proprio
                           per prendere coscienza di quel valore. Per Hegel, ad esempio, è solo
                           in quell’età integralmente storica che è la forma d’arte “romantica” che
                                                                10
                           si dà, in generale, l’idea di “classico” . Secondo Carchia, è la storia
                           come memoria e come ricordo a sancire la determinazione atemporale
                           e normativa della classicità. Se non riconosciamo come base del clas-
                           sico questo movimento di ritorno, vale a dire l’esercizio dello sguardo
                           sul passato, se cioè «si prescinde dalla sua temporalità anamnestica,
                           la pretesa alla normatività si degrada immediatamente a vincolo for-
                           malistico, si congela nell’accademismo delle regole». Manifestazioni
                           di insofferenza verso i classici (come quella di breton) o forme di ri-
                           vendicazione della libertà creativa contro le regole, sono sempre «la
                           reazione ad una nozione falsa di classico, nella quale è andata smarrita
                           la sua radice temporale, la dimensione del ricordo e quasi della ma-





                           8  Ivi, p. 339.
                           9  G. Carchia, Il mito in pittura. La tradizione come critica, in Id., Immagine e verità.
                           Studi sulla tradizione classica, a cura di M. Ferrando, Edizioni di Storia e Lette-
                           ratura, Roma 2003; si veda, in particolare, il cap. intitolato Il “classico” e la pit-
                           tura, pp. 291-314. I temi ivi trattati sono stati poi ripresi in Id., Arte e bellezza.
                           Saggio sull’estetica della pittura, il Mulino, bologna 1995.
                           10  G. Carchia, Il mito in pittura, cit., p. 291.



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