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ROMEO bUFALO, L’amore dei classici. Per un’erotica del sapere


                           magine e la realtà, tra la copia e l’originale. Ma consiste anche, precisa
                           Aristotele, qualora non conoscessimo l’originale, «nell’esattezza del-
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                           l’esecuzione, nel colorito, o in qualche altra causa del genere» , cioè
                           nelle modalità compositive, espressive, tecnico-formali delle opere d’ar-
                           te, vale a dire di quei testi di cui parlano Gadamer e Jauss.
                                 L’accenno alla forma di un testo come generatrice di una pluralità
                           indeterminata di sensi, ossia come significante eccedente, per usare una
                           felice  espressione  che  Giorgio  Agamben  mutua  da  Claude  Lévi-
                           Strauss per qualificare una delle categorie cruciali della modernità,
                           quella di gusto , ci consente di sviluppare, relativamente al rapporto
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                           con i classici, l’idea enunciata nel titolo di questo intervento (l’amore
                           dei classici), di cui il sottotitolo indica un possibile percorso.
                                 Cominciamo col dire che il genitivo (“amore dei classici”) è da
                           prendersi qui nella sua valenza soggettiva, oltre che oggettiva. Il clas-
                           sico è, cioè, più e oltre che oggetto d’amore, un vero e proprio collettivo,
                           e storicamente variegato, «soggetto amoroso», per dirla con Roland
                           barthes. Il soggetto amoroso parla amorevolmente di amore a un oggetto
                           che non gli risponde ma che tuttavia si fa desiderare, che accende l’animo
                           dell’amante, come sostiene Platone nel Simposio. Il soggetto amoroso,
                           scrive barthes nei Frammenti di un discorso amoroso, è un soggetto che
                           si ostina a sapere e a conoscere, che si percepisce, proprio in virtù di
                           tale ostinazione, come un soggetto desiderante. Naturalmente, perché
                           l’oggetto è se-ducente, possiede, cioè, una sua forza attrattiva. Questa
                           forza attrattiva ed attraente, o tensione erotica, è molto simile a ciò che
                           barthes chiama «languore». Nel languore amoroso, egli scrive, qual-
                           cosa si perde senza fine, impercettibilmente ma inarrestabilmente; ma
                           qualcosa si guadagna. «È come se il desiderio non fosse nient’altro che
                           questa emorragia. La fatica amorosa è questo: una fame che non viene
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                           saziata, un amore che rimane aperto» .



                           23  Ivi, 1448b, 16-18.
                           24  G. Agamben, Gusto, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 44-47. Il volume ripro-
                           duce la voce omonima scritta da Agamben per l’Enciclopedia Einaudi, vol. VI,
                           Einaudi, Torino 1979.
                           25  R. barthes, Frammenti di un discorso amoroso, trad. it. di R. Guidieri, Einaudi,
                           Torino 1979, p. 126.



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