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b. ZIMMERMANN, Classicismo e anticlassicismo nella filologia e letteratura tedesca alla fin de siècle


                           Maehler) o di “veggente” (fr. 75, 13 Maehler): «Indem ich der Men-
                           schheit eine unbegrenzte Wohltat erweisen will, gebe ich ihr meine
                           Dithyramben». Alcuni dettagli del ciclo si possono spiegare come un
                           tentativo da parte di Nietzsche, calato nel ruolo di poeta doctus, di crea-
                           re poesie in stile ditirambico a partire dalle testimonianze antiche e
                           dai pochi frammenti tramandati. La formula “Ditirambi di Dioniso”
                           può sembrare, a un primo sguardo, una tautologia, dato che i ditiram-
                           bi sono di per sé dedicati a Dioniso. Vi è però un’eccezione, che certo
                           costituisce il retroscena della scelta del titolo: un appunto di Plutarco
                           (Moralia 389c) riporta che a Delfi, in assenza del dio Apollo durante i
                           mesi invernali, si onorava Dioniso. Il carattere complementare delle
                           due divinità si esprimeva nella celebrazione di Apollo con ditirambi e
                           in quella di Dioniso con peani.
                                 L’assegnazione di titoli alle singole poesie da parte di Nietzsche rie-
                           cheggia l’opera dell’inventore storico-mitico del genere, Arione, che se-
                           condo Erodoto (I 23) fu il primo uomo di nostra memoria a scrivere poesie
                           chiamandole ditirambi, a corredarle di titoli, a fare le prove con un coro
                           e a portarle in scena a Corinto. Con queste premesse, Nietzsche risulta il
                           secondo “primo inventore” del ditirambo, il salvatore nel presente di que-
                           sto genere che giunge da tempi lontani, in modo simile a Orazio, che in-
                           tonò il canto eolico con la lira ausonia e rese così accessibile ai romani la
                           lirica greca, ora in lingua latina e veste romana (Odi III 30, 13 e s.).
                                 La struttura delle poesie, in brevi cola polimetrici nello stile di una
                           prosa ritmica, è debitrice, come lo è la poesia dello Sturm und Drang,
                           dello stimolante errore oraziano, per cui Pindaro avrebbe scritto le sue
                           poesie lege solutis, senza una forma metrica fissa – benché al tempo di
                           Nietzsche questa idea risulti piuttosto anacronistica, dato che già dopo
                           August böckh si credette di distinguere strutture metriche fisse nei versi
                           di Pindaro. Il principio della composizione dei cosiddetti dattilo-epitriti,
                           che rappresentano la struttura metrica prevalente delle odi pindariche,
                           fu però effettivamente compreso soltanto nel XX secolo.
                                 Secondo la tradizione antica, attestata sia da Erodoto (V 67) che
                           da Pausania (VIII 37, 5), in queste precoci espressioni lirico-dramma-
                           tiche erano cantate delle “sofferenze” (πάθη), prima del dio stesso e
                           in seguito di eroi; lo stesso accade nelle poesie di Nietzsche. Al centro
                           del ciclo si trova il lamento di Arianna abbandonata, ispirato dal carme
                           64 di Catullo, come si potrebbe mostrare in dettaglio. Il contenuto dio-



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