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b. ZIMMERMANN, Classicismo e anticlassicismo nella filologia e letteratura tedesca alla fin de siècle
testo di riferimento per Nietzsche, che considera Euripide – come del
resto fa anche Aristofane, da cui Nietzsche, in questo punto, dipende
visibilmente – uno dei rappresentanti della decadenza sofistico-socra-
tica. Il retroscena è costituito invece da due versi di un’elegia di Ar-
chiloco, citati da un eclettico e prolifico autore di epoca imperiale, Ate-
neo (II secolo d.C.) e contenenti la prima attestazione nella letteratura
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greca del concetto di “ditirambo” :
ὡς Διωνύσου ἄνακτος καλὸν ἐξάρξαι μέλος
οἶδα διθύραμβον οἴνῳ συγκεραυνωθεὶς φρένας
[Come so io dare inizio al bel canto di Dioniso signore,
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al ditirambo con l’animo folgorato dal vino .]
Consapevolmente, l’Io elegiaco afferma, in quanto guida di un coro in
preda all’estasi dionisiaca provocata dal vino, di essere in grado di into-
nare in onore del dio un bel canto di gioia, il ditirambo appunto. Note-
vole è il participio συγκεραυνωθείς (“colpito dal lampo”): l’intonazione
del ditirambo è un avvenimento messo in relazione con la nascita del
dio. Come Dioniso fu scaraventato fuori dal ventre di sua madre dalla
folgore di Zeus, chi guida il coro ditirambico lo trascina con sé, anch’esso
colto nel suo intimo da entusiasmo, estasi e mania dionisiaca.
La dipendenza di Nietzsche da questi due versi si sente soprattutto
nella prima parte del trattato. Il sesto capitolo è dedicato ad Archiloco e al
“canto popolare” (Volkslied), che il poeta di Paro avrebbe introdotto nella
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letteratura («in die Literatur eingeführt habe») nel VII secolo a.C. Nietz-
sche racconta qui di come il lirico faccia esperienza della «Gewalt der
21 Fr. 120 nell’edizione di M.L. West, Iambi et elegi Graeci ante Alexandrum can-
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tati, vol. I, Oxford 1989 (1971).
22 Traduzione di M. Ornaghi, in Id., La lira, la vacca e le donne insolenti: contesti
di ricezione e promozione della figura e della poesia di Archiloco dall’arcaismo all’el-
lenismo, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2009, p. 4.
23 Citato da F. Nietzsche, Werke I, a cura di K. Schlechta, Ullstein, Frankfurt-
berlin-Wien 1972, p. 41.
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