Page 119 - Costellazioni 6
P. 119

MICHELE NAPOLITANO, Il liceo classico: qualche idea per il futuro



                           con la domanda che nell’ottobre del 1989, in un bell’articolo sulla «Re-
                           pubblica», si poneva beniamino Placido: «A che serve un fiore?». A
                           nulla, appunto. Il che non implica che dei fiori si possa fare a meno.
                           Al contrario. Come non riandare con la memoria a quella pagina stra-
                           ordinaria del sesto capitolo del primo tomo dei Miserabili ove si de-
                           scrive il giardino di don Myriel, vescovo di Digne? Eccola, nella tra-
                           duzione di Mario Picchi: «Il giardino […] si componeva di quattro via-
                           letti incrociati che convergevano intorno a un pozzo di scolo […]. I
                           viali formavano quattro quadrati orlati di bosso. In tre, madame Ma-
                           gloire coltivava legumi, nel quarto il vescovo aveva piantato dei fiori.
                           Qua e là c’era qualche albero da frutto. Una volta madame Magloire
                           gli aveva detto con una specie di dolce malizia: – Monsignore, voi sa-
                           pete cavar profitto da tutto, ma questo è un pezzo di terra inutile. Sa-
                           rebbe meglio che ci tenessimo insalata e non fiori. – Madame Magloire,
                           – rispose il vescovo, – vi sbagliate. Il bello è utile quanto l’utile. – E
                           dopo una pausa aggiunse: – Forse di più».
                                 Ma è poi vero che le cose stanno così? È vero, cioè, che il greco e
                           il latino non servono a niente e vanno dunque preservati unicamente
                           in virtù della loro bellezza? Alla domanda che si poneva nell’ormai lon-
                           tano 1989, beniamino Placido suggeriva una risposta i cui presupposti
                           sono adesso ripresi e approfonditi da Maurizio bettini, il quale dedica
                           il primo capitolo del suo libro più recente appunto alle «ambiguità del
                           servire»: «la nozione di “servire a” ha un carattere assolutamente rela-
                           tivo: tutto dipende dalla prospettiva assunta da chi la usa e dalle ne-
                           cessità che ci si presentano» . Un presupposto sul quale bettini, nella
                                                      6
                                                   7
                           scia di Martha Nussbaum , fonda un ragionamento che individua nella
                           formazione umanistica potenzialità di lettura del mondo, di questo no-
                           stro mondo così diverso da quello nel quale la mia generazione è cre-
                           sciuta, così nuovo, così difficile, che non mi sentirei di contestare. Un
                           ragionamento la cui fondatezza, al contrario, sono pronto a sottoscri-
                           vere con convinzione, specie per quanto attiene all’idea che una buona






                           6  Ivi, p. 5.
                           7  M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cul-
                           tura umanistica, trad. it. di R. Falcioni, il Mulino, bologna 2011.



                                                           117
   114   115   116   117   118   119   120   121   122   123   124