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MICHELE NAPOLITANO, Il liceo classico: qualche idea per il futuro
prese, è un capitolo recente e ancora in buona parte da scrivere. Noi
diversi dagli antichi, soprattutto: e bebe Vio può servire a ricordar-
celo molto meglio di tanti discorsi teorici.
E allora, quale classico, per il futuro? Vorrei intanto che il clas-
sico insegni bene il greco: la lingua greca, tanto per essere chiari. Con-
vintamente in linea, da questo punto di vista, con quanti continuano
testardamente a sostenerlo, compresa la Consulta Universitaria del
Greco, della quale mi onoro di far parte: intorno alla questione del-
l’insegnamento del greco al classico la nostra CUG ha elaborato un
documento del quale sottoscrivo le virgole e gli spazi. Il fatto è che
oggi il greco, al classico, si insegna sempre meno, specie negli anni del
triennio, dove domina ormai da tempo la tendenza, francamente per-
niciosa, a fare ricorso pressoché esclusivo a testi in traduzione. So bene
che su questo punto la discussione è più che mai aperta. Ma la mia po-
sizione è netta: se deve continuare a esistere, il liceo classico deve es-
sere, intanto, scuola di lingua, convinto come sono del fatto che la co-
noscenza delle lingue, greco antico compreso, sia presupposto inelu-
dibile per comprendere appieno le coordinate culturali e mentali che
le lingue hanno il compito di codificare. Il che detto, bisogna però in-
tendersi: intanto sul come si deve insegnare il greco a scuola, perché
se è vero che oggi il greco si insegna in modo sempre più labile ed eva-
nescente, è anche vero che le metodologie didattiche sulla base delle
quali il greco si è sempre insegnato, al classico, mostrano ormai la
corda e hanno per questo più che mai bisogno di essere ripensate e
aggiornate. Il grammaticalismo esasperato ha fatto il suo tempo: al-
l’impianto rigidamente sistematico dei metodi tradizionali dovrà so-
stituirsi un approccio che, sacrificando forse qualcosa all’idea di com-
pletezza enciclopedica, sappia restituire vita ai testi in forza di un dia-
logo che, con i testi, dovrà essere il più precoce, il più diretto, il meno
teorico, il meno mediato possibile.
Se costringere gli studenti a fissare nella memoria sfilze di
norme, regole ed eccezioni è inutile, persino esiziale è trasmettere loro
l’idea che il faticoso apprendimento delle regole grammaticali sia il
momento culminante del loro iter formativo e non invece quello che
dovrebbe essere, ovvero un percorso preliminare: quanto si voglia ine-
ludibile, ma pur sempre propedeutico a ciò che conta davvero, ovvero
l’incontro con i testi. L’impressione è invece che a scuola le regole
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