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MICHELE NAPOLITANO, Il liceo classico: qualche idea per il futuro


                           virtù di un’idea di meritocrazia non disgiunta da precise preoccupa-
                           zioni di equità, oggi sembrano sempre più svuotati di senso, nella ge-
                           nerale corsa all’appiattimento e al livellamento in basso che contrad-
                           distingue ormai da anni le politiche della formazione e del lavoro, nel
                           nostro Paese come altrove. Un problema, drammatico, sul quale la po-
                           litica sembra sempre meno capace, non solo di incidere concretamente,
                           ma persino di riflettere.
                                 Le sfortune del classico e le misure da intraprendere per cercare
                           di strapparlo alla condizione di pur relativa crisi nella quale appare
                           dibattersi sono da inquadrare, ritengo, sullo sfondo di questo quadro
                           di contesto. Una volta che si sia preso atto della crisi, non resta che
                           provare a vedere se il liceo classico non possa essere rilanciato in forza
                           di precise politiche di riforma: il che io credo assolutamente necessa-
                           rio. Due le domande di fondo alle quali vorrei provare a rispondere,
                           la prima di respiro più ampio, la seconda di raggio più ristretto, perché
                           centrata esclusivamente sul greco, la disciplina che insegno all’univer-
                           sità da un ventennio a questa parte. E dunque: che senso ha oggi, se
                           ne ha ancora uno, continuare a studiare il greco e il latino? Servono
                           ancora a qualcosa, il greco e il latino? O sono da buttare? E quanto al-
                           l’insegnamento del greco nel classico: le cose vanno bene come sono
                           adesso? O non sarebbe opportuno invece pensare a qualche correttivo,
                           a  prospettive  didattiche  almeno  in  parte  nuove?  Una  domanda,
                           quest’ultima, alla quale cercherò di dare risposta attingendo alla mia
                           personale esperienza didattica.
                                 Alla prima domanda, al centro, non da oggi e neanche da ieri,
                           di un dibattito intensissimo, che si è arricchito da non molto di un
                           nuovo, autorevole contributo offerto da Maurizio bettini nel suo A che
                                                                                    5
                           servono i Greci e i Romani?, uscito l’anno scorso per Einaudi , mi sento
                           di rispondere piuttosto in breve, anche perché credo che sia in fondo
                           un falso problema. Certo, ai detrattori della paideia umanistica, a coloro
                           che ne predicano l’irrimediabile obsolescenza in un mondo che sembra
                           ogni giorno di più poterne fare a meno, verrebbe voglia di rispondere






                           5  M. bettini, A che servono i Greci e i Romani? L’Italia e la cultura umanistica, Ei-
                           naudi, Torino 2017.



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