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GIULIA FERRI, «Voglio liberarmi dei rimorsi che mi pesano addosso»


                data dall’episodio del massacro del topo, entrato per sua sfortuna nella
                baracca. Savinio ritrae i soldati proprio come uomini delle caverne che
                cominciano a eme ere «urla orrende» e utilizzano strumenti rudimen-
                tali, quali sassi e cio oli, per uccidere l’animale, e infine lo calpestano
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                ripetutamente con «una curiosa gioia piena di ferocia» . Un’altra com-
                ponente della loro animalità, l’incontenibile istinto sessuale, emerge
                nel racconto La turca. Qui i militari vanno le eralmente a caccia del-
                l’unica donna rimasta in ci à, soprannominata per l’appunto “la
                Turca”, aggredendo chi non sappia dare loro informazioni su di lei e
                arrampicandosi sulla parete della sua casa pur di scovarla, per poi sac-
                cheggiarla degli indumenti da lei lasciati:


                   Il coloniale si affacciò alla finestra: «Y-a pas! Fichue!». Un urlo gli rispose.
                   Quello di lassù sbandierò un cencio – camicia? mutanda? – e lo scagliò agli
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                   affamati .
                Tanto lo sconvolge il contatto con questi individui, che nell’Albergo
                di Trebisonda Paleari inizia a temere che la mescolanza tra di loro
                possa allargarsi, generando un odio che costituirebbe la più terri-
                bile conseguenza della guerra. Non lo conforta nemmeno la pre-
                senza dei soldati scritturali, ai suoi occhi narcisi privi di ogni viri-
                lità, radicalmente opposti a quelli della baracca nell’aspetto e nelle
                mansioni:


                   Venivano alla fonte, con gli asciugamani sotto il braccio oppure appesi al
                   collo; reggevano le saponette profumate, i pettini e altri utensili di abbelli-
                   mento, dentro vecchie scatole di sigarette. Si lavavano con cura e abbondan-
                   za. Poscia, davanti a uno specchietto tascabile, si separavano le chiome lus-
                   sureggianti con una impeccabile scriminatura. Si avviluppavano il collo
                   entro cravatte candide e altissime; vestivano le giubbe con la martingala
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                   sulla vita e, dondolandosi d’inedia, salivano agli uffici .





                33  Ivi, p. 65.
                34  A. Savinio, La turca, cit., p. 25.
                35  Id., L’albergo di Trebisonda,cit., p. 66.


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