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GIULIA FERRI, «Voglio liberarmi dei rimorsi che mi pesano addosso»


                Ad accentuare ulteriormente questo senso di straniamento concorrono i
                suoni di lingue nuove e incomprensibili oltre che, ancora una volta, la
                presenza di soldati che sembrano un branco di animali incapaci di con-
                tenere i propri istinti, pronti ad a accarsi anche solo per un gioco di carte.
                Di fronte a tali visioni predominano un «senso di spe ralità» e una «im-
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                pressione di irrealtà» tali che al protagonista sembra che quest’umanità
                barbara appartenga al mondo dei morti e non a quello dei vivi.
                     Savinio ritrae il suo alter ego Paleari nella stessa situazione di
                sconforto con ogni probabilità provata da lui, inizialmente ignaro di
                come potesse evolvere la sua avventura militare. Nella finzione ha
                però modo di immaginare per il suo personaggio un glorioso passato
                recente che, come sappiamo, non era esistito nella realtà:


                   Paleari giunse persino a rimpiangere quel cantuccino che, nell’inverno scorso,
                   occupava dentro una trincea del Carso. Sentì nostalgia per l’orrido buco, sca-
                   vato nella terra satura di pioggia e di orina, in cui stava accoccovato per giornate
                   intere e per intere no i, so o il cielo, ora fosco di sole, ora fosco di nuvole, ora
                   fosco di profondità azzurre, ora fosco d’infinite stelle, striato dal flebile gemito
                   delle pallo ole, dalle lame dei razzi, dal passaggio infocato dei grossi proie ili;
                   – accoccovato accanto ad altri uomini accoccovati, uomini caldi, tu i sco anti di
                   animalità rinfocolata dall’incuria, grevi di puzzi misti – grappa, sudore e tanfo
                   di bue allessato. Là il pericolo – contributo simpatico della vita – diveniva un
                   alleato del fascino che provocava la comunanza con gli altri uomini, tu i pa-
                   rimenti sogge i a una stessa sorte tragicamente minacciosa, ma palese, patente,
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                   reale, e pertanto amabile .
                I toni drammatici di questo passaggio, riassunti nel finale accostamen-
                to ossimorico «tragicamente minacciosa […] e pertanto amabile», sono
                accentuati da un’agge ivazione abbondante e di valenza semantica
                perlopiù negativa («orrido», «fosco», «infocato», «grevi», «minaccio-
                sa»), dalle ripetizioni («accoccovato», «ora fosco») e da un cadenzato
                uso di participi passati della prima coniugazione, che contribuiscono






                26  Ivi, p. 58.
                27  Ivi, p. 55. I corsivi sono miei.


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