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GIULIA FERRI, «Voglio liberarmi dei rimorsi che mi pesano addosso»


                a creare un senso di oppressione. È qui ravvisabile l’influenza di certa
                le eratura dell’epoca sia per quanto concerne la descrizione della trin-
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                cea e dei soldati , sia nel conce o di guerra come mezzo per sfuggire
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                all’alienazione e per dare un senso alla propria esistenza . Quest’ulti-
                mo mi sembra sia proprio la chiave per interpretare il passaggio ap-
                pena citato, che dà la misura del desiderio saviniano di un’esperienza
                più forte e autentica e, quindi, della volontà di affermazione del pro-
                prio valore di uomo e di italiano.
                     La vita di Paleari-Savinio presso il comando di tappa si conferma
                avvilente e degradante. Il giovane soldato deve fare la fila per poter
                o enere il misero rancio giornaliero, senza nemmeno poter ambire al
                brodo, che spe a solo a chi possiede una gave a, per poi consumarlo
                seduti su un sasso e senza posate, col rischio che gli cada nella polvere.
                Deve fabbricarsi da solo una branda con assi di legno e tele di sacchi,
                non ha lenzuola ma solo coperte da campo, dorme in una baracca
                piena di cimici e zanzare, ammassato a «uomini inselvaggiti non
                sol[tanto] negli usi del riposo e della nutrizione, ma nei costumi e nel-
                l’aspe o fisico». Continua Savinio: «Non era possi[bile] discernere gli
                uni dagli altri, individuo da individuo, perché le facce di tu i queg[li]
                esseri erano improntate alla stessa ferocia ebete […]» . Lo sguardo del
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                protagonista va nella direzione di quello dell’antropologo, di fronte a
                questi uomini tu i uguali e così lontani dal suo mondo. Si chiede in-
                fa i se la loro uniformità – che più tardi gli farà dire: «Sento “asimpa-
                tia” per i militari, per i preti, per tu i coloro che sono ristre i dentro
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                una “specie” o meglio dentro una “specialità”» – derivi dalla guerra
                o sia preesistente, concludendo che il confli o ha solo fa o emergere
                il comune primitivismo di questi individui, prima nascosti «in luoghi
                oscuri e sconosciuti; in lontane regioni inesplorate o, comunque, poco
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                frequentate dall’uomo incivi[lito]» . La misura della loro bestialità è



                28  Si pensi al testo di P. Jahier, Con me e con gli alpini, apparso tra il 1918 e il 1919, che
                me e in evidenza la commistione di ignoranza e umanità delle truppe, o alle descrizioni
                della trincea e dell’abbrutimento dei soldati che Salsa fa in Trincee (1924).
                29  Conce o che trova ampio spazio, fra gli altri, nei testi di Jahier, Prezzolini e Serra.
                30  A. Savinio, L’albergo di Trebisonda, cit., p. 63.
                31  Id., Sorte dell’Europa, Adelphi, Milano 1977, p. 61.
                32  Id., L’albergo di Trebisonda, cit., p. 63.


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