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GIULIA FERRI, «Voglio liberarmi dei rimorsi che mi pesano addosso»


                a farsi vanto dei suoi studi, conosciuto a Taranto prima di imbarcarsi
                per Salonicco. Diverso nell’aspe o in confronto ai militari con cui il
                protagonista ha avuto a che fare finora, egli si dimostra in fondo
                ugualmente avvezzo al vizio. Le sue massime ambizioni per l’espe-
                rienza in Grecia sono quelle di passare il tempo a bere caffè turco, fu-
                mare, andare al cinema e alle feste mondane, fuggendo così la miseria
                trovata in Italia. È dunque l’antimodello del soldato che va in guerra
                per nobili ideali e per dare prova del suo onore, e infa i il nostro pro-
                tagonista non esita a scansarlo.
                     La disillusione del soldato Savinio nei confronti del mondo mi-
                litare si fa sempre più ampia dopo l’arrivo al fronte greco. La prima
                immagine che egli ha di Salonicco è quella di una ci à mondana, dove
                nei caffè «i militari d’ogni specie, d’ogni foggia e d’ogni razza, beve-
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                vano la vita a piene labbra, negli intermezzi delle fosche pugna» .
                Quest’ultima coppia di parole tradisce la persistenza di fantasie sul-
                l’avventurosità e pericolosità dell’esperienza bellica che dovrebbe at-
                tenderlo. A dominare è però, in questo momento, una sensazione di
                grande solitudine e di distacco dai propri affe i, acuita dall’incertezza
                sulla vita e in particolare sulle mansioni che lo aspe ano in Grecia:


                   Mai il tempo che viveva gli sembrò più fosco; giammai sentì più crudamente
                   la presenza tenebrosa della guerra. Si sentì solo, abbandonato nel mezzo di
                   una vuotezza piena di ostilità. Una grande tristezza, una immensa sconsola-
                   zione gli piombò addosso, lo fece quasi stramazzare, gli tolse il pensiero da
                   ogni senso vitabile, gli volse la mente verso oscurissimi pensieri – pensieri di
                   annientamento, di speranze finite, d’impossibili ritorni… […] via via, gli sfila-
                   rono nel pensiero tu i gli esseri, tu i i fa i, tu e le cose cui Paleari potè in
                   qualche modo afferrarsi per sentire la sostanza della vita, per testimoniare a
                   se stesso che tu o non era irremediabilmente scomparso, che il mondo non
                   era tu o ruinato e che soltanto quella camera piena di ripugnanti incognite re-
                   stasse sospesa sul vuoto che improvvisamente si fosse scavato so o di essa .
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                24  A. Savinio, L’albergo di Trebisonda, in P. Italia, Dopo la partenza dell’argonauta. Nuovi testi
                di Alberto Savinio tra «Hermaphrodito» e «Achille innamorato», in «Antologia Vieusseux»,
                III, n.s., 7, maggio-luglio 1997, p. 51.
                25  Ivi, pp. 54-55.


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