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FRANCESCA BERNARDINI NAPOLETANO, La Grande guerra nell’immaginario e nella coscienza europea


                pato sulla «Nazione» di Firenze a puntate dal 16 se embre 1917, narra
                solo una parte delle vicende belliche di Soffici, relative all’XI ba aglia
                dell’Isonzo o dell’altopiano della Bainsizza, con la conquista dei monti
                Kuk e Kobilek, per un periodo di poche se imane, dal 10 agosto alla
                fine dell’azione, scatenata il 18 agosto. Nei mesi precedenti al 4 giugno,
                quando era stato ferito a un orecchio, Soffici aveva lamentato nelle let-
                tere agli amici la noia e l’avvilimento dell’a esa e dell’inazione, l’ansia
                di misurarsi in ba aglia, secondo una costante che ritroviamo in molti
                testi, dal Giornale di Campagna di Gadda ai racconti che Savinio scrive
                tra Ferrara e Salonicco (primavera-o obre 1918), a cominciare da La
                partenza dell’argonauta, e che in parte confluiranno in Hermaphrodito, a
                cui si aggiungono «alcuni proge i rimasti tra le carte dell’autore […],
                che si presentano come continuazione, sempre in bilico tra l’autobio-
                grafico e la finzione» (Giulia Ferri). Come per Ungare i, anche per Sa-
                vinio, nato in terra straniera, la guerra è «un’occasione di affermazione
                identitaria» e di realizzazione personale; questa aspirazione al risca o
                dalle proprie origini per Savinio, dal grigiore e dal dolore della propria
                vita passata (dalla nevrosi) per Gadda, sarà del tu o delusa per la for-
                zata inazione (Savinio), per la verifica della propria ine itudine al co-
                mando e per l’onta della ca ura e della prigionia (Gadda).
                     L’esigenza di rappresentare e di fruire, dal punto di vista esi-
                stenziale, la guerra come grande occasione di realizzazione personale,
                porta Jahier a porsi come mediatore tra la componente popolare (con-
                tadina) degli alpini e gli alti gradi, affermando la necessità della disci-
                plina e mistificando il rapporto gerarchico, che nella memorialistica
                dell’epoca – a eccezione di Kobilek – è dichiarato sempre come conflit-
                tuale, in un rapporto invece armonioso, di amicizia e di legame pro-
                fondo; a tal fine Jahier utilizza gli strumenti della le eratura e della
                retorica, in un testo sperimentale che insieme con la forma diario e con
                il frammento vociano utilizza in funzione espressiva anche la tradi-
                zione popolare (i canti degli alpini, tra ati come poesie) e sistemi se-
                mantici diversi, compresa l’ostensione di manufa i e di ogge i (ag-
                giunti nelle edizioni successive alla prima). Per entrambi i testi rile-
                viamo che esiste un pa o finzionale con il le ore e che gli autori in-
                tenzionalmente costruiscono il loro libro di memorie, ingannando il
                le ore. In particolare, è interessante che Soffici punti sull’orizzonte
                d’a esa del le ore, per contraddirlo e veicolare contenuti “altri”. So o



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