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FRANCESCA BERNARDINI NAPOLETANO, La Grande guerra nell’immaginario e nella coscienza europea


                è un “non-luogo”, la negazione delle categorie di spazio e di tempo,
                suggellata dalla morte (la fine del tempo) e dalla distruzione della na-
                tura e degli stanziamenti umani. La poesia e la fede possono essere
                la risposta alla condizione sospesa della prima linea, negare la vio-
                lenza costitutiva di quel “non-luogo” e restituire senso e valore anche
                alla Zona di guerra. È il caso del gruppo della rivista napoletana «La
                Diana», analizzato da Martina Volpe:


                   […] le le ere inedite inviate dai dianisti in guerra a Gherardo Marone, […]
                   testimoniano la fi a rete intelle uale che si era creata intorno alla rivista, e
                   come queste pagine napoletane rappresentassero per i collaboratori sparsi
                   lungo i confini di guerra un imperdibile appuntamento con l’impegno arti-
                   stico, un antidoto contro la noia dei tempi lunghi delle milizie, e un’opportu-
                   nità per proie arsi in un possibile futuro.

                Ma altri intelle uali al fronte avvertono invece una dolorosa distanza
                rispe o al fronte interno: Gadda, in licenza a Milano, descrive uno
                stato «di tristezza e quasi di scoramento e di confusione», a causa della
                «delusione nei riguardi della vita ci adina, che – scrive – io pensavo
                anche esteriormente tesa verso la guerra; mentre non si mostra tale af-
                fa o», tanto da creare una barriera tra i soldati e i civili:


                   In realtà l’anima del popolo tu o partecipa assai della intensa vicenda storica e
                   spirituale che traversiamo: e con la beneficenza continua mostra di amare i com-
                   ba enti: ma pure si diverte, passeggia, chiacchiera come se nulla fosse. […] In
                   ci à molti embusqués, molti esonerati dal servizio, molte facce schife di forni-
                   tori, d’egoisti d’ogni maniera, di pasticcioni: ma non fa nulla e non importa nulla:
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                   io e i miei amici siamo quello che siamo .

                E si leggano le le ere di Soffici a Papini dal se embre 1917, quando
                già è nell’aria la disfa a che arriverà di lì a poco a Capore o: con toni
                prima preoccupati e sorpresi, poi amareggiati e accusatori, Soffici scri-






                31  C.E. Gadda, Giornale di Campagna, cit., p. 105. Cfr. sul tema anche P. Jahier, Con me e
                con gli alpini, cit., il capitolo Scoramento e tentazione, pp. 223 e ss.


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