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PAOLA CANTONI, Diari popolari della Grande guerra. Forme e strategie della narrazione



                   tu a la no e col treno | la ma ina, Verso le ore dieci arrivammo a | Perugia,
                   dove mi fu assegnato al 51° Fanteria.


                Un aspe o interessante da esaminare è la modalità di rappresentazio-
                ne del sogge o nel racconto autobiografico.
                     Significativo, a tale riguardo, il caso di Mario Lodesani che ado a
                in modo quasi formulare la forma impersonale del verbo («si mangiò»,
                «si andò», «si piantò alla meglio le nostre case di tenda») che, alternata
                col meno frequente uso della diatesi passiva («mi fù dato»), rivela un
                distanziamento forse non intenzionale, ma significativo, dagli eventi.
                     L’autore rime e in fila i ricordi, i fa i, le sue stesse azioni, guar-
                dandoli dall’esterno. Se la trama lessicale li rappresenta, nitidamente
                impressi nella memoria cosciente e nelle risonanze fisiche, visive, udi-
                tive, emotive, alcune scelte morfosinta iche tradiscono al contrario
                una dimensione psicologica per cui gli eventi si succedono uno dopo
                l’altro, determinati quasi per moto spontaneo e senza un intervento
                a ivo dei singoli.
                     Nella stessa prospe iva l’impiego dell’espressione impersonale
                “venne” sancisce il succedersi indeterminato di eventi dei quali sfug-
                gono il motore causale, l’agente, la motivazione. I fa i vissuti al fronte
                “vengono” dall’alto o da lontano: si verificano in circostanze impreci-
                sate, senza che sia possibile individuarne i responsabili, con la stessa
                inelu abile casualità del succedersi dei giorni nel calendario della
                guerra. La forma è infa i utilizzata anche per scandire il tempo
                («Venne il 1° Se embre»; «Venne le 7 del ma ino»; «Venne il giorno 7
                o obre»; «Quando venne completamente no e»; «Venne la no e com-
                pleta»). Inoltre “venne” indica quasi sistematicamente, con pochi casi
                di “giungere”, “arrivare” e del passivo “fu dato”, la percezione di un
                comando («Venne l’ordine», «Un secondo ordine venne», «Venne or-
                dine di arrotolare le mantelline», «Venne ordine di avanzare», «Venne
                ordine di innestare le baione e», «Un’ordine da lontano giungeva im-
                provviso», ecc.). Il comando arriva da un sogge o indefinito e solo
                due volte, verso la fine del diario (pp. 46 e 49), è indicato chiaramente
                il sogge o: «Vedendo così, i nostri comandanti non diedero più ordine
                di andare e si fecero restare dentro quei buchi fino a sera», «Finalmente
                si sentì il segnale di avanti, e gli ufficiali diedero ordine di inastare le
                baione e e saltar fuori dalla trincea».



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