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PAOLA CANTONI, Diari popolari della Grande guerra. Forme e strategie della narrazione


                della scrittura, dovuto anche alle condizioni disagiate del fronte,
                l’andamento cronachistico e in qualche caso tachigrafico del testo,
                che risulta scandito da date precise, e altri aspetti linguistici, in par-
                ticolare sintattici. Sono invece abbastanza riconoscibili le memorie
                scritte a distanza di anni, più distese nello stile e spesso anche più
                ricche di considerazioni personali, di particolari descrittivi e narra-
                tivi (talvolta è lo stesso scrivente a darci indicazioni a riguardo). Il
                diario di Vincenzo Sperati, per esempio, si presenta dichiaratamente
                come «piccolo racconto e piccoli fatti», ed è scritto nel 1919 a distan-
                za di sei anni dagli eventi narrati (l’autore racconta la sua vita mili-
                tare dal 1913).
                     Un caso particolare è quello in cui le memorie di guerra costi-
                tuiscono solo una parte di un testo di memorie più ampio come l’ine-
                dito diario di un soldato sardo, scri o negli anni Sessanta, che fonde
                scri ura di emigrazione e scri ura di guerra .
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                     Ci sono però anche memorie reda e a distanza di pochi giorni
                o mesi dagli eventi. Ricorrente è il caso di soldati che decidono di fis-
                sare la loro storia quando vengono ricoverati in ospedale, come Mario
                Lodesani che il 16 novembre 1915 comincia a raccontare gli eventi dei
                suoi primi tre mesi di guerra dopo essere stato trasferito nell’ospedale
                S. Paolo di Modena per un inizio di congelamento ai piedi. Morirà
                poi nell’agosto del 1916 per le ferite riportate nell’assalto del Monte
                Sabotino.
                     Altre volte gli stessi scriventi, trovandosi in ospedale per una fe-
                rita di guerra, copiano in bella appunti o testi reda i al fronte. Tra
                quelli qui proposti, è il caso di Luigi Del Ben che ricopia sullo stesso
                taccuino, sul verso opposto, il testo forse rovinato o scri o malamente
                al fronte. La narrazione è continua, non suddivisa per giorni o periodi:
                questo potrebbe far pensare che l’autore abbia rielaborato gli appunti
                della prima stesura. Il diario verrà ritrovato dai parenti solo dopo la
                sua morte, nel 1969.





                24  Conservato nell’Archivio della Scri ura Popolare di Pieve Santo Stefano e recente-
                mente studiato in M. Caria, «Giannì, non rientrare in Italì, finita la guerra finito tu o»: Gran-
                de guerra ed emigrazione nel diario di un semicolto sardo, in R. Fresu (a cura di), «Questa
                guerra», cit., pp. 151-168.


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