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LUCIO VALENT, «La guerra era bella e conforme al mio spirito». Luigi Bartolini scri ore di guerra


                bensì dal soldato. Segno delle diverse esperienze politiche vissute prima
                del 1915, della differente temperie politica del 1930 e del suo modo di
                porsi di fronte alla guerra, l’autore marchigiano non si dilungava però,
                come Jahier, nel condannare «l’Italiuccia vigliacca, ignorante e corro a
                che ci pugnalava alle spalle mentre comba evamo», chiedendo una «pa-
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                tria degna del fante vi orioso» . Egli si limitava a celebrare il combat-
                tente ordinato e coraggioso, e, così facendo, lodava se stesso.
                     A riprova che Bartolini considerò l’esperienza sul Carso la parte
                migliore della guerra da lui comba uta, egli dedicò poche note alle tre
                ba aglie sulla linea del Piave. Si tra a, le eralmente, solo di 21 righe,
                da pagina 186 a pagina 188. Rimarchiamo questo aspe o poiché altri
                autori non mancarono, nei loro diari di guerra, di so olineare l’impor-
                tanza della saga del Piave, in quanto mito fondatore dell’Italia del do-
                poguerra e punto d’inizio temporale del racconto che di sé fece il fa-
                scismo quale movimento di rinascita nazionale. Non è semplice dare
                conto di questa scelta. Essa forse ribadiva l’apoliticità dell’adesione al
                confli o dell’autore e voleva essere segno della volontà di non farsi
                strumento di propaganda politica. È tu avia più probabile che tale de-
                cisione possa spiegarsi da un lato, e anzitu o, con la personalità di Bar-
                tolini, che nella guerra sul Carso ravvisò la prima realizzazione del suo
                cara ere e, dall’altro lato, con la convinzione che essa fu l’apice del sa-
                crificio, scevro da ogni segno politico, alla patria della gioventù italiana.
                Così facendo, egli rappresentava il sentimento di moltissimi ex com-
                ba enti, che, divenissero poi fascisti o meno, in primo luogo, pur tor-
                nando, dopo il novembre 1918, alle proprie a ività precedenti il cimen-
                to delle trincee, percepivano, per usare l’espressione proprio di un fa-
                scista marchigiano, «un amore infinito» per la patria, che volevano «im-
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                porre, con tu e le [loro] forze agli altri» . È vero che Bartolini a un certo
                punto aderì al fascismo, ma il suo consenso fu differente rispe o a quel-
                lo di molti altri. Egli divenne membro del Partito Fascista solo nel 1925,
                come scrisse lui stesso a Mussolini nel 1933 in una le era prodo a nella
                speranza di essere graziato e di non dover subire il provvedimento del





                45  Citato in M. Isnenghi, I vinti di Capore o nella le eratura di guerra, Marsilio, Padova
                1967, pp. 25-26.
                46  D. Tassani, Fascismo Anconitano, Adriatica, Ancona 1926, p. 14.


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