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LUCIO VALENT, «La guerra era bella e conforme al mio spirito». Luigi Bartolini scri ore di guerra


                capaci di identificare una valida strategia tale da far vincere il con-
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                flitto sul campo ai combattenti .
                     Così come avveniva negli altri libri di guerra, era grazie a queste
                descrizioni che Bartolini poteva far risaltare i pregi degli ufficiali e dei
                soldati coraggiosi. Di quegli ufficiali, cioè, che avevano tenuto un con-
                tegno più che lusinghiero, come «il Capitano C…» che era «morto,
                quest’eroe, alla prima ba aglia sul Piave» e che era un «cuore impe-
                tuoso, di quelli che per il pia o di lenticchie del bel gesto danno l’esi-
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                stenza senza domandare altro» . O come «Il Colonnello C…», che l’au-
                tore ricordava «quale padre ideale di tu i i morti comba endo sul
                Carso. Egli era umile, di umiltà vera; anzi si schermiva di sembrar tale.
                Era albero dalla scorza dura di fuori ma, di dentro, oh quanto mai te-
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                nera!» . Erano capi che sapevano fare «la guerra senza spargere timori
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                o dubbi, senza recriminare al cospe o degli inferiori» .
                     Tale ammirazione era rivolta anche alla maggioranza dei soldati,
                un altro topos della memorialistica di guerra. In fondo «nessuno di chi
                ha comba uto» aveva «operato il male»; anzi, chi non si era «bu ato
                prigioniero», chi non aveva «tradito i compagni di trincea» ed era ri-
                masto al proprio posto e aveva compiuto opera di distruzione, chi
                aveva «continuato a comba ere tra i lagni dei feriti intorno»; ebbene
                «tu i costoro» valevano «più degli altri – amici o nemici – che in guer-
                ra furono disertori e fecero a guisa dei conigli che si rimpia ano tra il
                sudicio nero della stalla» .
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                     Era, cioè, il coraggio, che spesso sfociava in eroismo, la fascina-
                zione (se non l’amore vero e proprio) per la guerra e per il pericolo (che
                si tramutava nella giusta prudenza di chi, veterano, sapeva quando ri-
                schiare e quando proteggersi), che Bartolini riportava nelle sue pagine,






                27  Questo era un tema diffuso nella le eratura militare italiana che descriveva gli ufficiali
                come incompetenti e inadeguati a guidare un esercito moderno. Per i problemi legati
                all’efficienza dei comandi militari italiani durante la Prima guerra si veda L. Ceva, Storia
                delle Forze Armate in Italia, UTET, Torino 1999, pp. 130-136 e 154-170; e più in generale, P.
                Melograni, Storia Politica della Grande Guerra, Laterza, Bari 1969, passim.
                28  L. Bartolini, op. cit., pp. 104-105.
                29  Ivi, pp. 124-125.
                30  Ivi, p. 126.
                31  Ivi, p. 68.


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