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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                pore o (24 o obre e seguenti); e, come prima il sole e l’afa estiva, è
                l’elemento negativo di un mondo che pare avviato alla dissoluzione.


                   Intanto pioveva sempre e la terra marciva, si sgretolava, diventava fango; fra-
                   navano le trincee; crollavano le rovine dei paesi; l’acqua disseppelliva i morti;
                   il cielo era di un colore che faceva paura .
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                Altro elemento di forte realismo, legato a esperienze vissute dal sol-
                dato Cavani, è la svolta drammatica della vicenda: un ordine insensato
                dei comandi superiori impone di tentare «un colpo di mano contro un
                piccolo posto nemico che era circa a una cinquantina di metri dalla
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                nostra posizione» . Sono sorteggiati gli o o che dovranno andare: tra
                essi, oltre al narratore, «un ragazzo delle ultime leve», in a esa di tor-
                nare in retrovia perché rimasto unico sostegno della famiglia dopo la
                morte in guerra di due fratelli. Di nascosto, Afro prende il suo posto,
                rimane ferito a un braccio nell’a acco (ovviamente infru uoso), ed è
                mandato all’ospedale. La conclusione (non all’altezza del resto) ram-
                menta quella del deamicisiano Tamburino sardo, forse combinato col
                celebre Testamento del capitano: qualche tempo dopo, una le era di Afro
                informerà l’amico di come la ferita, in sé non grave, fosse peggiorata
                per lo sforzo di rientrare in trincea, così da portare all’amputazione
                dell’avambraccio.


                   Lascio quindi nella terra di mio padre una piccola parte del mio corpo e
                   porto il resto nella mia patria di adozione. […] Non so cosa diranno i miei
                   quando mi vedranno in questo stato: io sono tranquillo: il corpo è mutilato
                   ma lo spirito no.


                Sembra invece un poco di buono Gasparo, protagonista del racconto
                omonimo, un anziano «dai lineamenti duri, dagli occhi torvi, che stava
                sempre solo, col cuore amaro e la bocca stre a», spesso «legato al palo





                32  Cfr. ancora Monelli, op. cit., per es. p. 56: «Piove. Dagli abeti fradici so o cui si sfila
                imbronciati stillano freddo e tristezza. Il cielo non ha colore».
                33  Per questo genere di azioni resta drammatica la testimonianza di Lussu, particolar-
                mente nei capp. 14-15 di Un anno sull’altipiano, pp. 114-128.


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