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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani
Vengono in mente le descrizioni di Rebora nella citatissima Voce di
vedetta morta (1917: quel «corpo in poltiglia / con crespe di faccia af-
fiorante / sul lezzo dell’aria sbranata»), o in Perdono? («Fungaia d’un
morto saponava la terra […]. Forse tre settimane. Schizzava il corpo,
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in soffietto, dai brandelli vestiti; ma ingrommata la testa […]) ; op-
pure le macabre considerazioni dei Vent’anni di Alvaro sul differente
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esito dei cadaveri insepolti nella terra di nessuno .
I restanti due racconti si svolgono nelle retrovie, dove pare
che i soldati, abbrutiti dalla vita in trincea, scatenino gli istinti più
bassi. Paolino e Carmine, due commilitoni destinati, dopo un mese
di trincea, a un corso in zona di guerra, in una nebbiosa serata no-
vembrina di nebbia «giallo oleosa», si attardano all’osteria. Dei due,
Carmine è un mite meridionale dagli «occhi malinconici», «la faccia
olivastra con un sorriso triste» e ligio alle consegne, ma è il setten-
trionale Paolino a imporsi: pretende un pasto sostanzioso e soprat-
tutto ingolla vino e liquori (i lettori di Un anno sull’altipiano sanno
che il cognac era una vera e propria “droga di Stato”, abituale per
gli ufficiali e distribuita ai soldati prima degli assalti) ; palpeggia
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la moglie dell’oste (che lo ricambia a sberle) , tenta l’approccio con
39 C. Rebora, Le poesie. 1913-1957, a cura di V. Scheiwiller, All’insegna del pesce d’oro,
Milano 1961, pp. 180 e 217.
40 Gli austriaci, meglio nutriti, «si gonfiano e scoppiano di quando in quando. I no-
stri invece s’inseccoliscono e diventan duri come la pietra», C. Alvaro, op. cit., pp.
117-118.
41 Amaramente, il colonnello Abbati nel cap. 30 constata: «Non è la guerra di fanterie
contro fanterie, di artiglierie contro artiglierie. È la guerra di cantine contro cantine,
barili contro barili, bottiglie contro bottiglie». Il Paolo Monelli di Le scarpe al sole in-
sisterà invece fin dalle prime pagine sulla ricerca del vino, nelle osterie o nelle can-
tine saccheggiate: se il libro si apre con «Esame di coscienza», di che esame si tratti
è detto nella seconda pagina: «in fondo alla bottiglia ho cercato la nuda verità.
Esame di coscienza», op. cit., pp. 9-10. La dipendenza dall’alcool si propagava ov-
viamente anche lontano dal fronte: Stuparich racconta di essere andato «in cerca del
cognac» durante una licenza a Monfalcone, e di avere indovinato la presenza di un
gruppo di artiglieri per «il caratteristico odore del tabacco e dell’alcool fusi insieme»,
op. cit., pp. 125 e 128.
42 Che tali a eggiamenti fossero abituali appare anche da una pagina di Giani Stuparich,
ivi, p. 86, per l’approccio di un sergente a una giovane madre che serve da mangiare:
«Osservo […] la spudoratezza invereconda con cui le me e le mani addosso; vedo la
vergogna e il risentimento dipingersi sul volto della donna […]».
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