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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                una prostituta che lo respinge perché ubriaco, e alla fine, abbando-
                nato anche da Carmine, si presenta rassegnato o forse incosciente
                al posto di blocco: «La sbarra fu sollevata e Paolino, con passo mar-
                ziale, s’avviò verso le grandi montagne dove rombava e lampeg-
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                giava la guerra» .
                     Ancor più truce la vicenda di Rosalba, la figlia diciottenne di
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                due osti di un paese divenuto zona d’operazioni militari , e per
                questo frequentato da soldati:


                   uomini logorati dalla guerra, abituati ormai a guardare in faccia la morte, che
                   avevano per qualche giorno l’illusione di riaffacciarsi alla vita. E la vita per la
                   più parte di loro era la donna; le lunghe astinenze avevano esasperato i sensi;
                   nelle profondità buie dell’essere l’istinto urlava come un ossesso assordandoli.
                   […] I soldati si accontentavano di guardare la ragazza dietro il banco, gli uffi-
                   ciali si avventuravano nei vicini paesi dove la popolazione era ancora al com-
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                   pleto e le donne non mancavano .

                Ma una sera la ragazza («un pezzo di pane mostrato a un branco d’af-
                famati», come presagiva la madre) è violentata, da due soldati che
                «parlavano con accento meridionale». Ne ferisce uno addentandogli
                due dita, particolare che perme e la sua rapida identificazione e ca u-
                ra (cui seguirà la condanna a morte insieme col complice).
                     La ragazza, ricoverata in clinica per i danni fisici e lo choc, ne
                evade per assistere alla fucilazione dei rei, in una sete di vende a che
                prevale sul suo cara ere, prima mite e poi «abulico»:


                   «Voglio vederli morire», balbettò, «voglio sentire l’odore del loro sangue».
                   Non stava bene; le girava la testa, faceva fatica a camminare, ma la sua vo-





                43  G. Cavani, Il fiume e altri racconti, cit., p. 207.
                44  L’edizione e i da iloscri i siglano M…, indicando poi B… come vicina sede dell’ospe-
                dale. Non è difficile riconoscervi Marostica e Bassano, luoghi presso i quali anche la bri-
                gata di Lussu fu «mandata a riposo», godendo pure di buona accoglienza femminile
                (Un anno sull’altipiano, cap. 27, pp. 226-227). Il tenero amore tra la «signorina bionda» di
                Marostica e il tenente Avellini conferisce tono patetico agli ultimi capitoli del libro (22,
                pp. 182-190; poi 29, pp. 238-245).
                45  G. Cavani, Il fiume e altri racconti, cit., pp. 210-211.


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