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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                L’attenzione torna sulla «costa nuda e tagliente dietro cui si annida-
                va il nemico», sentito quale compagno di sventura: «Vedevo men-
                talmente un’altra fila sparuta di uomini fra le rocce, oppressi come
                noi dall’angoscia, che pensavano e dicevano forse le stesse cose che
                avevamo pensato e detto noi». Simile il pensiero di Giani Stuparich
                dopo la conquista di una trincea nemica, che appare «come un letto,
                dove altre creature umane, fatte come noi, con lo stesso tremito nella
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                carne, hanno riposato» . Ma ricominciano le fucilate, e come nel Sa-
                bato santo «piccoli scoppi urtarono il silenzio e sibili leggeri passa-
                rono nell’aria»; un fante rimane ferito: «aveva la gola forata e il san-
                gue gli colava pel collo sotto la camicia».
                     «Durante la sparatoria nessuno aveva avuto paura, nessuno
                aveva pensato alla morte; ma quando il fuoco cessò, la morte ci
                guardò tutti con quel povero corpo disteso fra i sassi».
                     Viene meno anche la spavalderia prima ostentata dal narratore
                e dal commilitone. Ecco il finale della prima edizione:


                   L’ombra di Lodi mi venne vicino. Non vedevo nel buio il suo viso, ma ne
                   indovinavo l’espressione d’angoscia.
                   – Ti senti ancora sicuro di cavarcela? – mi chiese.
                   Un brivido di freddo mi corse per il sangue.
                   – Non so – risposi e la voce mi tremò in gola.
                   – Io no – continuò egli.
                   Mi tirò per un braccio perché abbassassi il capo e mi sibilò in un orecchio: –
                   Io ho paura.

                Quest’ultima sequenza venne tolta del tu o, come la maggior parte dei
                riferimenti alla paura: nell’edizione intitolata Quota 747, e nelle succes-
                sive revisioni, leggiamo solo dei «soldati impauriti, avviliti» e la ba uta
                già vista «questo silenzio fa paura». Dai tagli, emerge un tono più lirico;
                il nuovo finale è un no urno che riporta alla serenità spe rale delle cime
                lontane: «Solo le bianche montagne continuavano a splendere e ad ac-
                cogliere nella loro luce misteriosa le anime dei caduti».






                20  G. Stuparich, Guerra del ’15 (1931), Einaudi, Torino 1978, p. 116.


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