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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


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                sticana , balza fuori dalla trincea, afferra l’oggetto e tenta di rien-
                trare. Un «breve crepitio di mitraglia» pone fine alla sua esistenza.
                Trascinato dai compagni in trincea, «aveva le dita così strette intor-
                no al manico della gavetta che i compagni fecero fatica a levargliela
                dalla mano» .
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                     Non è un eroe Santu, come non lo è la più parte dei militari che
                vediamo all’opera in queste pagine; tranne, forse, uno, non a caso de-
                finito Uno strano soldato nell’ultimo racconto della serie. Si tra a di
                Afro, volontario, figlio di padre italiano ma residente in Svizzera, lau-
                reato e benestante, che tu avia (come Ungare i) vuole vivere l’espe-
                rienza della guerra da soldato semplice, con spirito romantico e forse
                dannunziano, sebbene i suoi pensieri (certo in sintonia con quelli di
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                Cavani) non siano bellicisti:

                   La guerra è una malattia morale le cui conseguenze non si possono calco-
                   lare; è l’inutile messo in opera. La guerra non ha mai risolto nulla, non ri-
                   solverà mai nulla, ma gli uomini continuano e continueranno a farla
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                   ugualmente .

                   Gli uomini non hanno ancora imparato a considerare il valore della vita
                   e la sprecano: per obbedire agli istinti più bassi si uccidono a vicenda;
                   perdono, cioè, per quello che credono di sapere, per ideali falsi, nati da
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                   false ragioni, sé stessi e tutto .
                A contrasto col clima arso degli altri racconti, qui domina la pioggia:
                probabile ricordo dell’autunno 1917, in prossimità della ro a di Ca-






                27  «… Anche contro la tua volontà debbo tentare la sorte; ma prima, madre, mi faccio il
                segno della croce e prego come tu mi hai insegnato per essere in grazia di Dio», G. Ca-
                vani, Il fiume e altri racconti, cit., p. 192.
                28  Ivi, p. 192.
                29  E di tanti altri: cfr. almeno P. Jahier, Con me e con gli alpini. Primo quaderno (1919); cito
                dall’edizione Einaudi, Torino 1943, p. 133: «MA QUESTA GUERRA / non dire neanche
                che è una lezione. / La distruzione non è una lezione. Muoio no i migliori, muoiono i
                soli che potessero approfi are».
                30  G. Cavani, Il fiume e altri racconti, cit., p. 220.
                31  Ivi, p. 222.


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