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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                rimaneggiati nell’edizione in volume. C’è qualcosa del Sabato santo in La
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                gave a, testo che apre le edizioni a stampa dei Racconti in penombra . Il
                protagonista si chiama Santu, verosimilmente siciliano, «volto co o dal
                sole» («adusto» era il siciliano della poesia): mentre mangia il rancio, un
                compagno vicino è ferito a morte, e il suo sangue macchia la pagno a e
                la pasta asciu a che Santu stava mangiando nella gave a. In un impeto
                d’ira, la gave a è scagliata «contro i reticolati del nemico».
                     Il sangue, reale e metaforico, con l’arsura estiva diventa l’elemen-
                to preponderante della storia: il soldato grida


                   «Qui tu o è macchiato di sangue; tu o, anche il pane benede o». […]
                   Il sole appariva fra due cime di monte, nella nebbia della calura, senza raggi,
                   rosso, e sembrava una enorme palla di sangue rappreso.


                   L’estate era torrida fra tu e quelle montagne acuminate e rosicchiate dai bom-
                   bardamenti. Il sole si levava sempre rosso e opaco fra le brume del cielo come
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                   se fosse pieno di odio .

                   La luce accecante dava un unico colore alle cose, un colore di mota secca: l’aria
                   odorava di bruciaticcio; nella trincea stagnava un silenzio in cui la vita e la
                   morte erano la stessa cosa .
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                Santu decide di riprendersi la gavetta, e dopo una sorta di addio
                alla madre lontana che arieggia quello di Turiddu in Cavalleria ru-







                24  G. Cavani, Il fiume e altri racconti, cit., pp. 187-192. Do qui la paginazione degli altri
                racconti congeneri, messi di seguito ad aprire la raccolta originale: Gasparo, pp. 193-197;
                Paolino e Carmine, pp. 199-207; Rosalba, pp. 209-216; Uno strano soldato, pp. 217-229.
                25  Ivi, pp. 188-189.
                26  Ivi, p. 191. Sullo stilema cavaniano dell’«antropomorfizzazione di cose ed eventi […]
                utile non solo al riconoscimento ma anche alla compartecipazione emotiva da parte del
                le ore», cfr. A. Cavalli Pasini, op. cit., p. 82. Facili altri accostamenti a Monelli, per esempio
                per questo passo: «Ed ecco vien fuori la luna a giocare a rimpia ino con i gravi abeti in-
                farinati. Essa veniva nel viale degli abeti, la luna passata, e i suoi denti di tigre a brillavano
                per il piacere. Forse stano e, al di là della linea delle vede e, ci scontreremo con il nemico;
                forse essa a questa luna mi me e le corna. Amen», op. cit., p. 15. O Stuparich: «dopo un
                breve, sfavillante tramonto la sera cala, buia e triste sull’a endamento», op. cit., p. 128.


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