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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                L’«eroe caduto inutilmente» (altro richiamo alla «inutile strage») avan-
                za per un’«aspra strada» ai cui lati penzolano sinistramente dagli al-
                beri «file d’impiccati / coi colli storti» (probabile memoria delle con-
                danne o delle rappresaglie belliche). Giunto al suo villaggio, lo trova
                tu o in rovina, come la sua casa so o le cui macerie giace la madre (e
                ove depone il fiore); incontra «una ragazza scarmigliata» col figliole o
                al collo, e vi ravvisa la sua fidanzata.


                   Colle mani tremanti, egli che vide
                   la morte e non tremò, si copre il viso.
                   Il sole cala ardente, con un riso
                   di sangue; il vento della sera stride


                   nei campi arsiti. «Perché sono nato?
                   Per chi son morto?» egli si chiede, e affranto
                   riprende la sua strada senza pianto
                   poiché in eterno egli sarà soldato.


                Orrore, sangue, disperazione, assurdità del tu o e sua eternità sono le
                costanti espressive delle poesie come già delle le ere ai familiari. Ma tra
                le poesie che Cavani cominciò a pubblicare dal 1923, proseguendo fino
                al 1960 con una serie di «anacronistici libriccini» (come li definì Pasolini),
                non solo questi testi sono esclusi, ma gli stessi riferimenti alla guerra sono
                rarissimi, direi rimossi, in favore di una vena lirica, una «lingua “per poe-
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                sia” giovane e vergine per definizione» che lasciava poco spazio al rea-
                lismo crudo. Può essere significativo che il ricordo della guerra riemerga
                ne o solo in una delle poesie conclusive, la Dolina carsica, ricordo di un
                pellegrinaggio nell’a uale Croazia posto quasi alla fine dell’ultima rac-
                                                                  15
                colta pubblicata vivente l’autore, Nei ritorni a me stesso :



                14  Così ancora Pasolini nella prefazione alla stampa Feltrinelli 1961 del romanzo Zebio
                Còtal; traggo dall’edizione 2008, cit., pp. LV-LVI. La rimozione delle poesie e dei ricordi
                di guerra accomuna, si licet, Cavani a Clemente Rebora, che rinunciò al proge o di edi-
                zione complessiva dei suoi testi: cfr. A. Cortellessa, Tra le parentesi della storia, introdu-
                zione al volume a sua cura Le no i chiare, cit., pp. 43-45; A. Dei, La parola esplosa di Cle-
                mente Rebora, in «Studi e problemi di critica testuale», 91, 2015, pp. 175-189.
                15  Guanda, Parma (Tip. Ferraguti, Modena) 1960, p. 111; poi nelle successive edizioni:


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