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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani


                Sono pensieri e immagini ricorrenti nella le eratura di quei momenti
                (ivi inclusa un po’ di retorica che oggi appare ingenua ma all’epoca
                era comune anche presso autori più smaliziati) : la coscienza della stra-
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                ge inutile e del nemico tuo fratello nella sofferenza («anche i nemici /
                pregavano e piangevano con noi», commenta poco so o Cavani) .
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                     Per un a imo, la morte sembra cedere alla vita e alla resurrezio-
                ne, in un crescendo reso dallo stile franto e asindetico:


                   D’un tra o, dalla valle in pieno sole
                   da cui giungea talvolta appena il cupo
                   fragor del fiume, giunse a noi un fioco
                   suon di campane. Impallidii, mi parve
                   di venir meno per la gioia. Il vecchio
                   soldato balzò in piedi. Lungo i solchi
                   della morte li eroi si ridestavano
                   stupiti: che avveniva? Chi annunciava
                   ai morenti la vita? Chi, da qualche
                   borgo in rovina ridonava il canto
                   alle campane? 11






                9  Se ne distacca Lussu, che tu avia nel cap. 25 di Un anno sull’altipiano riferisce degli
                opposti pareri emersi in un diba ito tra ufficiali, quelli che si ribellavano contro la
                «miserabile» e «insopportabile strage», e quanti sostenevano che «con i nostri nemici
                vi oriosi, in Italia son ritornate le dominazioni straniere e la reazione», e retoricamente
                si chiedevano: «Che ne sarebbe della civiltà del mondo, se l’ingiusta violenza si po-
                tesse sempre imporre senza resistenza?» (ivi, pp. 212-214).
                10  Una sintesi esemplare del tema è in G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello. Le eratura
                italiana e Grande Guerra, Clueb, Bologna 2013, sopra u o nella parte II, cap. 1, che dà il
                titolo al volume (pp. 153-186). Memorabile il cap. 19 di Un anno sull’altipiano, che dal-
                l’osservazione dei comuni gesti quotidiani dei «nemici», del tu o identici ai «nostri»,
                giunge al rifiuto di sparare sul giovane ufficiale austriaco che sta fumando, perché «uc-
                cidere un uomo, così, è assassinare un uomo» (pp. 160-161). Stesso fondamento è in Per-
                ché non t’uccisi, poesia del 1917 di Fausto M. Martini («Fu per non morire! / Per non mo-
                rire in te: m’eri gemello»; A. Cortellessa (a cura di), op. cit., pp. 191-193); o nella visione
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                onirica del «Franz, mein Bruder!» in Corrado Alvaro, Vent’anni (1930 , 1953 ); cito dall’ed.
                Bompiani, Milano 1963, pp. 160-161.
                11  Il lontano squillo delle campane, udito dalle trincee, è per esempio in uno dei Fuochi
                fatui di Sbarbaro, del 1919: «Era la vita impassibile che cancellava la guerra come l’erba
                la fossa recente» (cfr. A. Cortellessa [a cura di], op. cit., p. 215).


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