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FABIO MARRI, I “solchi della morte” e il realismo più cupo di Guido Cavani
militare durò per lui almeno fino al 30 giugno 1919, come provano
varie cartoline illustrate inneggianti a Trieste e all’Istria liberata, senza
luogo e con timbro «Reggimento Genio Telegrafisti»). Una in partico-
lare, intitolata Il sabato santo, mai pubblicata in vita dell’autore, che
però ce ne ha lasciato qua ro redazioni, esordisce con:
Il sabato santo ,
7
eravamo in trincea sul Col Caprile,
costone da pastura, che dal Grappa
cala in Val Stagna. Già la primavera
alitava serena sopra i grandi
gioghi argentati dalla neve, e il sole
ne’ meriggi era caldo. […]
La trincea dov’io stavo, era scavata
in cresta: dopo, il monte s’avvallava
selvoso, a conca, in faccia a ’no scheggione,
grigia fortezza del nemico. Ho ancora
nell’occhio la visione dolorosa
del paesaggio: in faccia, la vallata
violacea d’ombra, col suo fiume azzurro;
a sinistra, di là dal fiume, monti
altissimi, dai dossi curvi, neri
d’abeti e dalle cime scintillanti
di nevi eterne.
Combinando questa descrizione con le cronache della Grande guer-
ra, ne ricaviamo che la Brigata Regina, di cui (dopo le perdite gra-
vissime subite sull’Isonzo) dalla fine del 1917 faceva parte Cavani,
nella seconda metà del 1917 era attestata in faccia all’imprendibile
roccaforte austriaca del Monte Zebio, a nord di Asiago e nella dire-
zione del Monte Ortigara (teatro di sanguinose battaglie con perdite
7 Così la redazione che appare più matura; lezioni alternative sono Ora, il Sabato Santo;
Fu nel Sabato Santo; Santo il sabato apriva. Per il testo mi appoggio alla tesi di P. France-
schini, op. cit., vol. 2, pp. 10-17, parzialmente rifluita in F. Marri (a cura di), op. cit., pp.
17-24 e 207-219, nello specifico 208-210.
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