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MARIA bETTETINI, Classici e mercato globale. Il caso del mito delle Sirene
della guerra di Troia, sulla strada del ritorno degli Argonauti dopo
il furto del vello d’oro. Le donne uccello stanno quasi per trascinarli
sull’isola Anthemoessa (o bella di fiori) col canto, quando Orfeo
suona la lira. Inizia una gara che porta a una forte cacofonia che “ri-
sveglia” gli Argonauti dall’incantamento e, con l’aiuto di Afrodite, li
fa fuggire. Però il racconto di questo antichissimo incontro con le Si-
rene (che secondo alcune versioni si suicidarono per l’umiliazione
subita da Orfeo, ma non erano immortali?) è a noi giunto tramite Le
Argonautiche di Apollonio Rodio, nel III secolo a.C., almeno cinque-
cento anni dopo Omero. Torniamo quindi all’Odissea.
Dopo la forza cieca del Ciclope, Ulisse e i suoi incontrano il fa-
scino e il mistero di Circe, che a sua volta mette in guardia da altre
figure femminili, le Sirene sempre portatrici di pericolo. Non sono i
venti, non è un vulcano e non sono nemmeno le tempeste di Posei-
done, i pericoli delle Sirene sono altri. È la nostalgia che sconvolge
la mente del marinaio, il dolore per un ritorno a casa che ancora non
è possibile, che il mare rende difficile. Le Sirene di Omero, infatti,
non sono le dolci creature metà donna e metà pesce della fiaba di
Andersen, la Sirenetta discende da altre creature, dalle Melusine e
Ondine che l’immaginario nordico ha attinto dal Medioevo, dalle sue
leggende e da quei libri in pietra che sono le decorazioni delle catte-
drali. Queste sono figure di donne pesce o donne serpente di mare,
che come poi la Sirenetta giocano con l’amore per un uomo e la loro
vita da pesce, da principessa o da schiuma del mare. Le Sirene ome-
riche, invece, sono brutte creature dal corpo di uccello e dalla testa
di donna. Così sembra, anche se Omero non le descrive, forse dà per
scontata la loro forma. Se ne traggono indicazioni dalle Argonautiche,
come si diceva successive: «Ed erano allora, a vedersi, / simili in parte
agli uccelli, in parte a fanciulle gentili, / stavano sempre sul lido di
facile ormeggio in attesa, / spesso toglievano a molti il ritorno dolce
di miele, / presili di struggimento» (IV, 898-92). Oltre al corpo di uc-
cello quella che appare certa è la loro consuetudine con la morte, che
puntualmente riappare nell’Elena di Euripide: «Fanciulle alate, / ver-
gini figlie della terra, Sirene, / accorrete al mio lamento / con il flauto
libico / o con la zampogna di Pan / o con le cetre». Le Seirēnes vivono
nell’Ade, con Persefone, cantano per i defunti, solo Orfeo potrà vin-
cerle con il suo canto (così sempre Apollonio Rodio).
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