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MARIA bETTETINI, Classici e mercato globale. Il caso del mito delle Sirene



                           guirono la fine dell’Impero romano d’Occidente fino all’epoca di
                           Carlo Magno, senza scuole, tribunali, pace, nacquero le nuove lin-
                           gue europee e il latino classico divenne lingua morta o moritura,
                           non più parlato nemmeno dagli ecclesiastici. Racconta Gilson che
                           ci si domandò se fosse valido il battesimo impartito in nome del
                           Padre, della Figlia e dello Spirito Santo, dato che, soprattutto nelle
                           Gallie, Filii diventava spesso Filiae (sorse così una questione fonda-
                           mentale per linguisti e semiotici, nonché, naturalmente, per i teo-
                           logi: vale la lettera o vale l’intenzione? Poiché si disse che valeva la
                           seconda, ci si accorse dell’esistenza di atti linguistici che indipen-
                           dentemente dalla forma compiono una mutazione nel mondo. Que-
                           sto sarà argomento della pragmatica moderna di John Langshaw
                           Austin e John Searle, per esempio). In tale contesto, dunque, accad-
                           de una cosa strana: non si dimenticarono e non si disprezzarono
                           gli antichi (peraltro salvati dalla barbarie negli scriptoria benedetti-
                           ni), ma li si circondò di una nuova aura, quell’auctoritas senza l’ap-
                           poggio della quale l’intellettuale del Medioevo non avrebbe osato
                           affermare nulla. Se da Descartes in poi divenne un vanto aver fatto
                           tabula rasa del passato, tanto che oggi gli studiosi si dannano per
                           trovare le innumerevoli citazioni patristiche nascoste nelle opere
                           del filosofo oggi sepolto a Parigi in Saint-Germain-des-Prés, i me-
                           dievali sapevano invece di poter andare oltre l’arte e il pensiero
                           degli antichi proprio perché su di essi si appoggiavano, nani sulle
                           spalle di giganti. D’altra parte l’appropriazione dei grandi del pas-
                           sato o il loro – almeno dichiarato – rifiuto fanno parte da sempre
                           di momenti a corrente alternata della vita culturale: per i romantici
                           che riscoprono un loro Medioevo, ecco i futuristi che tagliano i
                           ponti con tutto ciò che non sia già più avanti, come prima per un
                           Tommaso d’Aquino che parlava attraverso citazioni di Aristotele
                           abbiamo a reazione i primi umanisti, come Pico della Mirandola e
                           Marsilio Ficino, che in nome del nuovo recuperano Platone, Plotino
                           e addirittura gli Oracoli caldaici che, se pur composti nel II secolo
                           d.C., riporterebbero tratti della sapienza babilonese, o il Corpus Her-
                           meticum, proposto come compendio della sapienza egizia. Il dialogo
                           quindi, nel rifiuto o nell’accettazione, anche se a volte parziale, tra
                           l’attualità e il classico sembra sia stato sempre vivo. Nel Novecento,
                           però, è cambiato qualcosa. Ciò che è accaduto non è soltanto la per-



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