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LUCIO VALENT, «La guerra era bella e conforme al mio spirito». Luigi Bartolini scri ore di guerra


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                to, è bene ricordarlo, non partendo da un diario di guerra –, de-
                scrisse episodi che, più o meno, furono sperimentati da tutti i vete-
                rani, utilizzando una forma che «alle volte […] cade troppo nell’or-
                rido, anche se mantiene sempre un livello di racconto pittoresco che,
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                tutto sommato, non disgusta» ; e che, come scriveva Pietro Pancrazi
                sul «Corriere della Sera», era frutto di eccessi caratteriali non sempre
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                giustificabili . Come che sia, le immagini sono quelle ampiamente
                riscontrabili in altri testi; sono le descrizioni di scoppi, fumo, proiet-
                tili, trincee, reticolati, feriti e morti, di sangue e disperazione, ma
                anche di coraggio .
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                     Anche la descrizione della percezione della morte incombente è
                tradizionale nello scri ore marchigiano. Non appare fuori luogo cre-
                dere che tale percezione fosse condivisa dagli ex commilitoni diventati
                suoi le ori. Anch’essi si chiedevano se, tornati dalla guerra, avrebbero
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                ritrovato casa, pane, mestiere, impiego . Anch’essi, come Bartolini, se-
                gnavano, con gli occhi, «il posto probabile» della loro «discesa dalla
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                terra sulla terra», rispondendosi «magari oggi!» . Giova so olineare
                questi passaggi più di altri perché tali esperienze, condivise e narrate
                dall’autore con liriche efficaci, si inserivano appieno in quel culto dei
                morti che, dopo il novembre 1918, si era diffuso nel paese e, almeno
                all’inizio, era servito ad accreditare il fascismo quale portavoce dello
                spirito patrio ico più sincero e antagonista del massimalismo sociali-
                sta antinazionale . Un aspe o va, però, chiarito. Quando scriveva:
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                15  Solo in due passaggi del libro Bartolini fa riferimento a un taccuino da lui ritrovato,
                peraltro pieno di calcoli matematici, numeri e qualche disegno, stre amente utili per
                l’a ività di ufficiale artigliere. L. Bartolini, op. cit., pp. 146-147 e 151.
                16  G. Ravegnani, Romanzi della guerra, in «La Stampa», 11 o obre 1930.
                17  P. Pancrazi, Romanzi della guerra, in «Corriere della Sera», 17 se embre 1930.
                18  Descrizioni molto crude del confli o su cui non è il caso di insistere perché tradizio-
                nali nella le eratura di genere in L. Bartolini, op. cit., pp. 38-39, 82-86, 95, 112-113, 146-
                147 (dove il fronte veniva comparato all’Inferno dantesco, ma «un inferno grigio, fa o
                di pietra e di silenzio come fu il Carso frantumato, arato in bianco, dalle cannonate») e
                169-171.
                19  L. Bartolini, op. cit., pp. 61, 84, 94 e 101.
                20  Ivi, p. 110.
                21  Su tali vicende si veda R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla Grande
                Guerra alla Marcia su Roma, il Mulino, Bologna 2012, vol. 3, pp. 13-110.


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