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VALERIA MOGAVERO, Il mito dell’“altra” guerra nel Diario (1939-1945) di Piero Calamandrei


                Calamandrei, trent’anni dopo, penserà di fare richiamo in un vagheggiato
                ma non formalizzato pream bolo alla Costituzione del 1948, si forma a
                partire dai seicentomila caduti della Prima guerra mondiale. Rispe o a
                quest’etica del sacrificio, nell’elaborazione calamandreiana del mito e del
                culto dei caduti, le cause e gli obie ivi della guerra perdono in qualche
                misura peso e rilevanza, mentre la catastrofe sociale costituita da seicen-
                tomila morti e da un milione di feriti si disincarna fino a chiudersi in una
                tautologia dei morti da onorare, e a cui rimanere fedeli, perché sono morti.
                In questo processo di astrazione, l’accento di Calamandrei si sposterà sem-
                pre più dal ceto borghese ai fanti contadini, che vengono da lui coinvolti
                in un postumo e virtuale processo di nazionalizzazione risorgimentale,
                con un movimento di forte a enuazione e diluizione della concreta sto-
                ricità borghese in cui la sua scelta in realtà si radica, senza che però a que-
                sta inversione dei fa ori si accompagni una reale crescita o il semplice
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                avvio di una storicizzazione dei vissuti popolari della guerra .
                     Non vi è nulla di strumentale o anodino in questa reversione.
                Sostanzialmente, Calamandrei avrebbe certamente condiviso le parole
                pronunciate nel 1963, a quasi mezzo secolo di distanza dal «maggio
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                radioso», da uno «storico allora studente in grigioverde» , interventi-
                sta e intervenuto, Alberto Maria Ghisalberti, in fedeltà all’antica scelta:





                7  Non potendo qui lungamente esaminare occasioni e contesti dell’oratoria calaman-
                dreiana dentro e sulla Grande guerra, mi limito a rinviare ai discorsi confluiti in P. Ca-
                lamandrei, La lapide della discordia. Orazioni sulla Grande Guerra Montepulciano e Siena
                1920-1923, a cura di S. Calamandrei, Le Balze, Montepulciano 2006, pp. 15-69, dalla cui
                le ura è possibile rendersi conto del continuo interfacciarsi del giurista con i processi
                in a o e dei molteplici “aggiustamenti” di prospe iva realizzati in itinere, dalla visua-
                lizzazione eminentemente borghese della Grande guerra, nei primi tempi, a un certo
                sentore d’antisocialismo proveniente dal versante radicale del pa o fra liberal-moderati
                che l’iniziativa centrista di Ni i cercò di conguagliare nel 1919, fino alla decisa rever-
                sione dal reducismo “diciannovista” approdata alla ne a ripulsa dell’appropriazione
                fascista del patrimonio etico-politico della Grande guerra. Su questi temi, si vedano gli
                interventi raccolti da S. Calamandrei (a cura di), I linguaggi della memoria civile. Piero Ca-
                lamandrei e la memoria della Grande Guerra e della Resistenza, Le Balze, Montepulciano
                2007, tra cui segnalo A. Casellato, La guerra di Piero. Esperienza, scri ura e memoria della
                Grande Guerra, pp. 31-45; M. Isnenghi, Etica, pedagogia e memoria della Grande Guerra, pp.
                47-61 e M. Franzinelli, Calamandrei, Salvemini e Ernesto Rossi, pp. 63-74.
                8  Il riferimento è ad A.M. Ghisalberti, Ricordi di uno storico allora studente in grigioverde
                (Guerra 1915-18), Fondazione Marco Besso, Roma 1981.


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