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VALERIA MOGAVERO, Il mito dell’“altra” guerra nel Diario (1939-1945) di Piero Calamandrei


                risorgimentali, da un giovanile radicalismo mazziniano approdato alla
                militanza repubblicana e agli scranni di Montecitorio –, che allo scop-
                pio delle ostilità tentò invano di arruolarsi e farsi mandare al fronte,
                Piero compie la sua esaltante corsa in sidecar verso Trento non per co-
                gliere e consumare un’occasione, ma per testimoniare la volontà di
                realizzazione di un valore condiviso; e per dare prova della sua fedeltà
                a un mondo ideale che nel giro di pochi anni dalla fine della guerra
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                sarà trascinato in un processo di profondo degrado .
                     Carducciano convinto, le ore della «Voce», collaboratore del
                «Giornalino della Domenica» ed estimatore del suo dire ore Vamba ,
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                entro certi limiti Calamandrei è anche uno dei «ragazzi di Salvemini» .
                Più che numi tutelari, questi e altri nomi a lui cari, compongono una
                trasversale di riferimenti che, pur nell’evidente disomogeneità delle
                componenti, gli rimarrà nella mente e nel cuore per tu a la vita. Tra i
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                «cinque modi di andare alla guerra» , quello prescelto e seguito da Ca-





                3  A proposito della protesta degli interventisti democratici contro l’appropriazione fa-
                scista della memoria di Leonida Bissolati e la strumentalizzazione del suo patrio ismo,
                si veda la le era scri a l’8 novembre 1924 da Calamandrei a Dino Provenzal: «Carissi-
                mo, come hai potuto dubitare che in una protesta in cui si tra ava di manifestar pub-
                blicamente il nostro disgusto per questi istrioni delinquenti che ci governano, potesse
                mancare il mio nome? Credo che a quest’ora avrai già visto sul “Mondo” di ieri che la
                le era per Bissolati era firmata, oltre che da me, anche da insegnanti universitari e medi:
                tra i quali Galle i, Valgimigli, Augusto Monti. Sempre i soliti, che si ritrovan sempre,
                tu e le volte in cui c’è da dire una parola di dignità e di coraggio in questo porco paese
                di cortigiani e di vigliacchi, dove ogni benpensante, pur di avere una croce di cavaliere,
                sarebbe disposto a leccare i piedi all’assassino di suo padre. [...] Sai che arrestarono
                Jahier per aver portato un fascio di allori all’immagine di Ma eo i? Ed io, che andai a
                Monte alle Croci cinque minuti dopo con un mazzo di garofani, scampai per miracolo
                alla bastonatura e al conseguente (!) arresto. Ti racconterò i gustosissimi dialoghi tra me
                e il Prefe o per la scarcerazione degli arrestati [...]»: P. Calamandrei, Le ere 1915-1956,
                cit., vol. I, pp. 206-207.
                4  Per la “funzione Vamba” tra i giovanissimi figli e nipoti di famiglie borghesi in ambiti
                stre amente intrecciati al milieu fiorentino di Calamandrei, si vedano A. Tonnellato,
                Piero Calamandrei, la scuola e i libri di storia per ragazzi, in «Il Ponte», LXV, 1-2, 2009, pp.
                116 e ss.; M. Isnenghi, Storia d’Italia. I fa i e le percezioni dal Risorgimento alla società dello
                spe acolo, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 167-186; E. Papadia, Di padre in figlio. La genera-
                zione del 1915, il Mulino, Bologna 2013, pp. 69-82.
                5  A. Tonnellato, Il «nostro Salvemini» e «il socialismo come libertà», in «Il Ponte», LXVIII,
                11, 2012, pp. 103-104.
                6  M. Isnenghi, Cinque modi di andare alla guerra, in E. Gentile, M. Isnenghi, G. Sabbatucci,


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