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VALERIA MOGAVERO, Il mito dell’“altra” guerra nel Diario (1939-1945) di Piero Calamandrei


                lamandrei, nella scia delle sue fonti d’ispirazione, conduce alla “re-
                denzione” di Trieste e Trento senza trasalimenti espansionistici. Per il
                giovane intelle uale fiorentino si tra a, in definitiva, di acciuffare l’ul-
                tima occasione che la storia me e a disposizione di un sentire mazzi-
                niano con il quale egli è in buona sintonia, forse proprio perché si tra a
                di una spinta interventista più traguardata sui massimi princìpi che
                su un concreto programma politico e sociale. Ciò che al giovane giu-
                rista sembra infa i sfuggire è che il suo modo di andare in guerra ha
                una presa debolissima su quell’Italia contadina e proletaria che egli
                ritiene, al contrario, pronta e anzi protesa a comba ere e “redimere”
                le terre italiane ancora so o l’Austria. Quella che a lui appare come
                l’esaltante prospe iva etico-politica del “necessario” compimento del
                Risorgimento in realtà non anima e non consolida un comune sentire
                popolare, ma riesce a malapena, e non senza distinzioni e a riti, a coa-
                gulare élite colte e ceti più o meno abbienti, rispe o alla cui padronan-
                za dei linguaggi politici e disinvoltura nell’impiego dei mezzi di co-
                municazione di massa, la minoritaria militanza repubblicana e maz-
                ziniana veramente popolare – peraltro localizzata quasi esclusivamen-
                te in Emilia, in Romagna e nella Toscana a nord di Livorno – costitui-
                sce una presenza di complemento, solo parzialmente e difficoltosa-
                mente integrata nel composito schieramento interventista.
                     Questa premessa è necessaria perché nell’a o in cui la fedeltà di
                Calamandrei alla Grande guerra in quanto momento culminante di un
                popolare sentimento risorgimentale entrerà in crisi, al tempo della guerra
                civile strisciante del 1919-1922, il giurista fiorentino, al pari di altri inter-
                ventisti democratici, sovrapporrà alla percezione del fenomeno l’obbligo
                morale di fedeltà alle motivazioni della guerra democratica, ultima prassi
                indire amente politica a disposizione dell’antifascismo laico e democra-
                tico, per contrastare l’annessione fascista di Vi orio Veneto, dei caduti,
                dei feriti e della «comunità delle sofferenze». Alla difficoltà di elaborazio-
                ne del ritra o del popolo in armi Calamandrei sopperirà con un’interpre-
                tazione della guerra come sacrificio colle ivo. Il «popolo dei morti» cui






                C. Pavone et al., Novecento italiano. Gli anni cruciali che hanno dato il volto all’Italia di oggi,
                Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 33-62.


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