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RObERTO NICOLAI, La distanza dei classici


                           della guerra di Troia e delle altre saghe eroiche, dal ciclo tebano a quel-
                           lo di Meleagro o a quello argonautico, era percepita come un’epoca
                           lontana, ma al tempo stesso fondante perché i Greci vi ponevano vi-
                           cende che per loro erano altamente paradigmatiche e che tali rimasero
                           per lunghissimo tempo.
                                 La distanza, infatti, è fondamentale perché un racconto possa di-
                           ventare un paradigma, perché possa avere valore esemplare, in vari
                           ambiti e a vario livello. Iliade e Odissea per i Greci erano, come è stato
                           detto, un’enciclopedia tribale (Havelock) o un libro di cultura (Lot-
                           man), perché le vicende che vi erano narrate erano lontane nel tempo,
                           ma anche perché erano vicende estreme, compiute da eroi straordina-
                           ri, per lo più di stirpe divina, in condizioni eccezionali e irripetibili. I
                           Greci non trovavano nei poemi omerici precise prescrizioni o norme,
                           anche perché i poemi creano un mondo non sovrapponibile ad alcun
                           periodo storico definito: nei poemi convivono usanze tra loro incom-
                           patibili, come il matrimonio per dote e il matrimonio per acquisto, e
                           sono fuse istituzioni sociali e politiche e tecniche militari di epoche di-
                           verse. I Greci vi trovavano, invece, dei potenti paradigmi, che defini-
                           vano valori condivisi e dinamiche di comportamento. I testi dei poemi
                           omerici furono certamente tra i primi a essere fissati per iscritto per
                           essere cantati e ricantati dai rapsodi nelle grandi feste panelleniche e
                           cittadine. Decidere di affidare un testo alla scrittura perché possa es-
                           sere conservato e trasmesso, specialmente in una cultura che si serve
                           ancora in misura limitata della scrittura, è una prima forma di cano-
                           nizzazione. Dal momento che le redazioni scritte dell’epos erano fun-
                           zionali all’esecuzione ho proposto di definirle come un «canone per-
                           formativo». Fissati per iscritto ed eseguiti in ogni parte del mondo
                           greco, i poemi omerici divennero anche il più importante paradigma
                           di lingua letteraria. In particolare l’epos rimase omerico, con limitate
                           variazioni, fino alla fine del mondo antico.
                                 Accanto all’epos, altri generi letterari divennero canonici: mi rife-
                           risco in particolare alla tragedia, che dall’epos aveva tratto la sua mate-
                           ria. I tre grandi tragici ateniesi erano già canonici alla fine del V secolo
                           a.C., quando Aristofane portò sulla scena Le rane. Nelle Rane a Eschilo
                           e a Euripide, che contendono per il trono di miglior poeta tragico nel-
                           l’Ade, si affianca Sofocle, morto durante la composizione della com-
                           media e già oggetto di apprezzamento e di venerazione. Il canone dei



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