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La distanza dei classici.
Introduzione
RObERTO NIcOLAI
Sapienza Università di Roma
Nessuna cultura è priva di un passato. Se per noi i Greci rappresenta-
no l’origine e l’archetipo della cultura occidentale e ci appaiono per
questo motivo come gli abitanti di remoti Campi Elisi, quasi che fos-
sero al di fuori dello spazio e del tempo, i Greci avevano piena consa-
pevolezza di non essere nati dal nulla. Da un lato sapevano bene che
esistevano altre antichissime culture, con cui intrattenevano rapporti
e da cui avevano tratto conoscenze e ispirazione: si pensi soltanto al
racconto erodoteo (2. 143) sulla visita di Ecateo in Egitto e al dialogo
con i sacerdoti egizi, che alle sue 16 generazioni umane prima di un
dio contrapponevano le loro 345 generazioni di sacerdoti, senza, pe-
raltro, che si arrivasse a un dio. D’altro canto, già le prime opere della
letteratura greca, i poemi che gli antichi attribuivano a Omero, raccon-
tavano gesta eroiche appartenenti a un remoto passato e le racconta-
vano arcaizzando deliberatamente. Per fare soltanto qualche esempio,
nel Catalogo delle navi del II libro dell’Iliade compaiono località di cui
si erano perse le tracce, ma di cui si conservavano vaghe memorie, ac-
canto a città in piena attività intorno all’VIII-VII secolo a.C. Inoltre
compaiono armi non più usate, ma che potevano essere ammirate nei
corredi delle tombe: il grande scudo a torre di Aiace, l’elmo con zanne
di cinghiale di Merione, i carri da guerra, di cui non si conosceva più
l’uso in battaglia e che diventano, come dice Snodgrass, dei taxi per
condurre i guerrieri sul campo di battaglia. Anche la lingua dei poemi
omerici è il frutto di un procedimento arcaizzante perché fissa nelle
formule fenomeni morfologici che intorno all’VIII-VII secolo a.C. non
esistevano più, se non, appunto, cristallizzati nelle formule. L’epoca
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