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me dei Balcani». La brevità del secolo, giusto l’assunto di Hobsbawm,
è fa a convergere, o è verificata, in un medesimo luogo e marcata da
due tragedie.
Se il presupposto ideologico è chiarissimo, anzi patente e dichia-
ratorio – il volume si apre con La guerra fordista a firma del curatore –,
altre anto limpido è l’intento di rinnovare il taglio delle analisi presen-
tando reperti rari, spesso inediti, che offrono un contributo scientifico
rilevante alle ricostruzioni storiche e alla loro ermeneutica. Molti sono
i materiali messi a disposizione dagli eredi o conservati in ampie col-
lezioni private. È il caso di alcune straordinarie, potenti chine satiriche
custodite dagli eredi di Giuseppe Scalarini (1873-1946), disegnatore di
vigne e politiche per l’«Avanti!» dire o da Claudio Treves. Ed è il caso,
ancora, delle opere grafiche e pi oriche, delle testimonianze, dei diari
di prigionia inediti raccolti da Lodovico Isolabella nella sua collezione
privata, tra le più generose fonti della mostra.
Scalarini, con i suoi disegni dal tra o essenziale, sempre acuti e
demistificanti, è funzionale alla prospe iva antieroica e pedagogica
del volume e insieme al suo impianto ideologico: «come tu i i carica-
turisti di valore – scrive Mario De Micheli nel saggio che gli dedica –
è un moralista, ma il suo moralismo è di natura socialista, è cioè un
moralismo di classe […] dominato da una ragione rivoluzionaria» (p.
5). La satira politica, per lui, senz’altro, doveva essere «qualcosa di più
di un colpo assestato all’avversario, doveva essere anche un insegna-
mento per gli sfru ati. Credeva fermamente nel potere persuasivo e
chiarificatore dell’immagine» (ibidem).
Stante la ripugnanza per la guerra, sebbene Scalarini non espon-
ga corpi martoriati di soldati, teschi e reticolati, qualcosa in lui «ba e
in sincrono con O o Dix e George Grosz» (p. 12), qualcosa che gli fa
meritare una posizione di rilievo all’interno di un volume dall’ideolo-
gia così chiara e salda. Diverso da Scalarini nel linguaggio espressivo,
non satirico ma tragico, Alberto Helios Gagliardo è autore di incisioni
in rame altre anto «drammatiche e antieroiche» (p. 29), non lontane,
anch’esse, dalla visione critica di Grosz. È anche questa una scelta ri-
velatrice e coerente con l’intero volume: autore non molto noto, studia-
to a partire dal 1985, di grande intensità etica, capace di dare del nemico
un ritra o non gro esco né stereotipato – non propagandistico, dun-
que, ma umano, specchio del suo evangelismo di matrice tolstojana.
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