Page 8 - Approdi 104
P. 8
PREFAZIONE
al suo “amor di Poesia”, nella Storia
C’è una grazia continua e ineludibile, nelle poesie di Giambattista
Baldanza (Roma, 1949), che davvero riconcilia con un’idea sana
ed elegante del fare poetico, che ovviamente è un fare concreto (il
fare, il poièin), ma anche un modo di essere, pensare, o meglio an-
cora di ricordare, porre lo sguardo, insomma non giudicare mai –
banale occupazione – ma piuttosto sentire, presentire, e commuo-
versi davvero per la Bellezza: residua o anche tralasciata, umiliata,
nelle more del vivere, nei complicati, perfidi o troppo spesso di-
stratti travagli del Mondo...
Così si lamentava infatti il Nostro, in una sua vecchia e già
bella raccolta, Sento crescere l’alba:
Sono il primo
consapevole
impaurito
in questo mondo buffo
il primo
che abbatte
cieli di vergogna
L’amico Emerico Giachery, che è studioso delizioso di letteratura
e vorrei dire, insieme, filosofo dell’arte ed estetologo inesauribile,
parlerebbe tout court di “amor di poesia” – che è molto più del
semplice fare o parlare di una poesia d’amore:
“... Amor di poesia, anche nel senso più lato e ricco del termi-
ne, ha alimentato il mio impegno, o magari soltanto ‘tentativo’ di
‘abitare poeticamente la Terra’. La nozione di ‘poesia’, come s’è
appena detto per la musica, ha un respiro semantico che va molto
oltre la realtà concreta della poesia scritta, attiene al senso e sapo-
re di certi doni della vita. Accogliamo anche questo respiro d’oriz-
zonte”.
7