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proge o di criogenizzazione denominato «Convergence». In un’Ame-
rica rido a a sterminato Ground Zero – un deserto emozionale popo-
lato da hollow men – la vita umana con le sue imperfezioni resta l’ulti-
mo baluardo (ostacolo?) prima dell’appia imento totale. Alla perfe-
zione di un’esistenza senza tempo si contrappone l’hic et nunc delle
nostre incertezze, ansie, rovine; l’interminabile sequela di colloqui di
lavoro, le relazioni sentimentali frustranti, il sole che sorge e tramonta,
lo scorrere implacabile, quasi cronometrico, del tempo. Fermare l’oro-
logio, purificare la storia, non risolverebbe nulla: «How human are
you without your sense of time?».
Zero K (il titolo si riferisce agli zero gradi Kelvin, la temperatura
più bassa raggiungibile in un sistema termodinamico) è un romanzo
gelido, disturbante e profondo, tanto più inquietante in quanto ci mo-
stra i lati tragicomici e tautologici del nostro presente. La lingua è
asciu a, tersa, rarefa a. Periodi brevissimi, precisi come colpi di cec-
chino. Più che all’astra ezza becke iana si avvicina all’imponderabi-
lità dell’oracolo – una Pizia americana che, come quella di Dürrenma ,
sembra non curarsi più dell’effe o delle sue parole: essenziali e spesso
incomprensibili, ma sempre definitive, poetiche, atemporali. Virtuali.
Forse è davvero questo il destino dell’umanità; forse ha ragione
DeLillo e il futuro è una profonda, gigantesca cripta so o un deserto
mediorientale che custodisce migliaia di corpi umani congelati e vivi-
sezionati – gli organi principali espiantati e preservati in vitro – in a e-
sa di resurrezione. Gli araldi di un nuovo mondo, di una diversa per-
cezione della realtà. Un lungo sonno della ragione, in a esa che i nostri
cellulari ci diano il permesso di risorgere. E forse l’unica cosa che i soldi
ancora non possono comprare, l’immortalità, presto sarà davvero alla
portata dei multimilionari come Ross Lockhart, con tanto di pacche o
completo promosso dallo slogan: «Die a while, then live forever».
Nella diade padre-figlio va rintracciata la contrapposizione car-
dine del romanzo: «The not yet and the no longer», un presente che è
già passato e un futuro che cannibalizza continuamente il presente. Il
Bambino è padre dell’Uomo, scriveva Wordsworth. Eppure, tra il
bambino che guarda stupito il riflesso del sole e l’essere senza sesso e
senza tempo che veglia nella solitudine della cripta so erranea c’è
tu o l’interim amletico, lo scorrere della vita, ciò che ci rende umani.
È facile capire da che parte sta l’autore: seduto dietro una ca edra a
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